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Cronaca San Severo

L'inferno del Covid negli occhi del 'Capo'. Il racconto commovente del dr Benvenuto: "Non sappiamo chi si salverà"

La toccante testimonianza del direttore di Medicina Interna del Masselli Mascia di San Severo, Angelo Benvenuto, che ricostruisce l'anno nel suo reparto dall'inizio della pandemia

"Il rammarico più grande è perdere persone che pochi giorni prima erano in perfetta forma, e mai immaginavano di finire in un inferno così grande". La testimonianza di Angelo Benvenuto, direttore della Medicina Interna dell'Ospedale Teresa Masselli Mascia di San Severo, è toccante. La sua è una operazione a cuore a aperto. Probabilmente vale il doppio, perché è una persona che non ha mai esternato pubblicamente i suoi sentimenti e, magari anche per la sua fisionomia, per chi lo ricorda semmai da amministratore della città di Foggia, non ha mai lasciato trasparire particolari emozioni. Anche il rapporto con il direttore generale Vito Piazzolla - è lo stesso dg a raccontarlo - è nato dopo un misunderstanding, per quanto poi sia capace di così tanta sensibilità.

Ha la voce rotta, a volte trasale, durante la Conferenza dei Servizi dell'Asl di Foggia, in streaming per la prima volta in ossequio alle misure di contenimento del contagio da Coronavirus. In dieci minuti ha ripercorso i giorni della pandemia. Il suo intervento appassionato e vibrante arriva finanche a commuovere. "La prima ondata per noi è stata più che altro di panico", ha ricordato, tornando a marzo. "Noi medici non eravamo abituati ad avere moltissimi presidi". Richiama alla memoria anche la scoperta del primo paziente positivo nel suo reparto, "che di respiratorio non aveva niente", quando per fortuna nessuno rimase contagiato. Si è ritrovato senza la stanza di direttore, come la caposala, locali poi trasformati in spogliatoi e servizi in un piano svuotato per fare spazio alla degenza e ai magazzini. "Ci siamo adattati a stare insieme agli altri: ci ricorda che siamo uniti, anche se non possiamo toccarci e, all'interno, per riconoscerci dobbiamo parlarci o scrivere i nomi sulle tute, perché l'unica cosa che spunta dalle divise sono gli occhi". Sulla sua tuta c'è scritto 'il capo', che almeno strappa un sorriso. "Già si parla di quando finirà, di quando potremo abbracciarci".

Angelo Benvenuto ricostruisce accuratamente tutta l'evoluzione, senza infingimenti, mettendo a nudo anche le fragilità di un sistema che nelle sue parole torna umano: "Quello della Medicina è stato un cambio rapido e definitivo. Un giorno avevamo metà dei letti pieni di pazienti non Covid, il giorno dopo abbiamo avuto indicazioni di trasferirli in massa, quello dopo ancora avevamo gli operai a fare le modifiche. Quando ci danno indicazioni per ricoverare i pazienti, entro sera ne arrivano 14, in due giorni il reparto ristrutturato per ospitare 20 pazienti ne accoglie 32".

Ringrazia il personale che con abnegazione non si è mai risparmiato: "Lavorare in ospedale durante questa epidemia vi assicuro, non è per niente facile. Mille pensieri girano in testa. Capisci che ogni persona che incontri, ogni paziente con cui vieni in contatto, ogni secondo di lavoro può essere decisivo per la tua salute e per quella degli altri, bisogna stare concentrati, non c'è margine di errore, e questo alla lunga ti sfianca, ti logora e ti innervosisce".

Il suo pensiero va a chi è dentro la stanza "vestito da astronauta", che perde il senso del tempo ed è impossibilitato a gestire le relazioni con l'esterno. "Diverso tipo di isolamento subiscono i pazienti, costretti ad abbandonare i familiari entrati in ospedale da soli, visitati da personale di cui intravedono solo gli occhi e vivono ciascuno nel proprio rumoroso isolamento sempre con gli stessi vestiti, alcuni senza telefono, senza possibilità di comunicare con l'esterno".

Pochi mesi sembrano aver completamente riconfigurato il rapporto con i malati. I medici prestano aiuto a persone che "sono indifese contro un dannato virus che provoca una malattia che non ha cure". Ma poi sopraggiunge la frustrazione: "I nostri tentativi sono solo palliativi".

Poi il racconto, incalzante, del dirigente Asl restituisce l'immagine nitida dei sacrifici e della stanchezza dietro le tute. Le loro vite sono state stravolte. E il virus ha cambiato anche le persoe. "Sembra banale, in effetti siamo abituati a ricordarci i dettagli dei pazienti anche dopo molto tempo, ma quando hai una sola malattia da curare tutte le storie si assomigliano. Dopo alcune ore passate dentro hai le vertigini, capita a molti, qualcuno lamenta invece cefalea. Sospettiamo che sia colpa delle mascherine che costringono a inalare più anidride carbonica del dovuto, ma potrebbe essere anche la fatica continua, il rumore e gli allarmi. Si esce bagnati di sudore. Per noi Internisti avere a che fare con una sola malattia come durante un'epidemia è un'esperienza unica e a tratti frustrante. Il brivido della diagnosi è totalmente assente, il rischio di fare errori diagnostici praticamente azzerato. Ciò non significa, però, che il lavoro sia più semplice. Ci troviamo di fronte a mille copie della stessa malattia, con l'arduo compito di prevedere chi migliorerà e chi peggiorerà, chi può andare tranquillo a casa e chi ha bisogno di osservazione stretta, chi tra poche ore avrà bisogno di un ventilatore e chi resisterà a giorni solo con l'ossigeno. Per di più, è una malattia relativamente nuova, abbiamo visto altre polmoniti virali, abbiamo idea della terapia da applicare nella sindrome da distress, ma con questa malattia qui, con il Covid 19 non abbiamo esperienza. Studiamo, leggiamo gli articoli che vengono via via pubblicati, cerchiamo consiglio da chi è qualche settimana avanti rispetto alla situazione che vediamo, ma è difficile sapere con certezza come agire. È difficile perché già ci sbagliamo nelle previsioni con le malattie di cui sappiamo tutto, perché una cosa è la malattia, e tutt'altro è quel singolo malato che ti trovi di fronte in quel momento, figuriamoci con una patologia nuova".

Stila una statistica sulla scorta della sua esperienza diretta: "Gli uomini ricoverati sono il doppio delle donne, quindi probabilmente sono più suscettibili o tendono ad aggravarsi di più - spiega il direttore Benvenuto - Quasi tutti i ricoverati gravi sono sovrappeso o patologicamente obesi. Per la prima volta nella nostra memoria abbiamo l'intero reparto di pazienti identici. Le cartelle e le consegne sono state standardizzate, stessi parametri da monitorare, stessi esami da richiedere terapie praticamente identiche, è facile fare confusione ma anche semplice adottare un approccio sistematico. Le indicazioni terapeutiche cambiano ogni poche ore".

Non nasconde nemmeno la debolezza di scoprire solo ora quanto possa essere complicata la comunicazione medico-paziente e medico-parenti durante una pandemia. La sua sincerità è un pugno in petto: "È molto difficile e delicata sempre. ma in queste circostanze è un'impresa. Noi medici odiamo le comunicazioni telefoniche e mai come ora il motivo mi si è reso evidente. Inizialmente, pensavo che il divieto di fornire informazioni telefoniche fosse solo una questione legale, invece non è così. Per quanto possiamo parlare lentamente e cercare di utilizzare un lessico semplice e spiegare più volte i concetti, le persone con cui ci interfacciamo comprendono un decimo di ciò che diciamo noi, perché sono agitati, perché sono troppo concentrati a cercare di capirci. Per di più, l'unica cosa che tutti vogliono sapere, cioè se il loro caro si salverà, è l'unica cosa che evitiamo a tutti i costi di dire, perché non lo sappiamo".

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