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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca San Marco in Lamis

ESCLUSIVA | Coronavirus a San Marco, la figlia dell'uomo deceduto rompe il silenzio: "Noi vittime due volte, gli hanno tolto la dignità della morte"

A rompere il silenzio è una delle figlie dell'uomo, vittima di Coronavirus nel Foggiano. "Abbiamo perso nostro padre e ci è stato buttato fango addosso, additandoci come appestati e untori. Ma noi abbiamo seguito le regole, non sono state nostre mancanze”

Dal dolore alla rabbia, dalla rabbia al dolore. Da giorni, la famiglia dell'uomo risultato positivo al Coronavirus in provincia di Foggia - il 74enne di San Marco in Lamis deceduto lo scorso giovedì, nella sua abitazione - si muove sul filo altalenante tra i due sentimenti. “Ci sentiamo vittime due volte!”.

A rompere il silenzio è una delle figlie, residente a Cremona, dove il padre avrebbe contratto il virus almeno quattro giorni prima che in Lombardia scoppiasse l’emergenza da Covid-19. “Siamo vittime due volte, in primis perché abbiamo perso nostro padre in modo inaspettato e violento; poi per tutto questo fango che ci è stato buttato addosso, additandoci come appestati e untori”, spiega.

A mente fredda, ripercorre la catena degli eventi che ha portato alla morte dell’uomo, 74enne, ipoteso e diabetico, tutto sommato in buona salute nonostante gli acciacchi dell’età. Il dito scorre sul calendario alla ricerca della falla nel sistema, di cosa può aver inceppato la macchina degli interventi, di omissioni presunte o meno.  

L’unico punto fermo nella ricostruzione della famiglia? “La consapevolezza che, da parte nostra, è stato fatto, sin da subito, tutto ciò che era in nostro potere. Il nostro senso civico c’è stato sin dal primo giorno. E questo a tutela della nostra famiglia e dell’intera comunità, anche quando non c’era alcun pericolo all’orizzonte”, ribatte la donna. I coniugi, infatti, erano arrivati a Cremona il 2 febbraio per poi ripartire il 16, prima che ‘esplodesse’ il caso Codogno, prima che la città diventasse ‘zona gialla’.

Avevano raggiunto la figlia in Lombardia per festeggiare il compleanno del nipote, cui avrebbe preso parte anche una bambina successivamente risultata positiva al virus. “Ho salutato mio padre dopo due settimane di affetto e calore e mai avrei pensato che quella sarebbe stata l’ultima volta”, continua la donna. “Ai primi sintomi manifestati da mio padre (apatia, spossatezza, estrema debolezza) e non appena appresa la notizia del caso positivo a Cremona, sono stati contattati nell’ordine il medico di famiglia, l’Asl e i numeri di riferimento per l’emergenza (1500 e 112) evidenziando a tutti, con forza e chiarezza, del precedente soggiorno in Lombardia”, spiega la donna allontanando da sé e dalla sua famiglia ogni sospetto di eventuali mancanze o superficialità nella gestione della vicenda.

Tuttavia, nessun ha ritenuto opportuno sottoporre l’uomo (nè sua moglie) ad un tampone per il Coronavirus. Fallito anche il tentativo di mettere connessione le aziende sanitarie locali delle città di riferimento per un dialogo più proficuo. Intanto, il respiro affannoso e i ‘rantoli’ sono stati curati con un ciclo di antibiotico (penicillina intramuscolo), che però non ha portato alcun giovamento. La situazione è poi precipitata nel pomeriggio di giovedì 27 febbraio, quando è sopraggiunta improvvisamente la morte. Inutile l’intervento del medico di famiglia e quello dei sanitari del 118: per l’uomo non c’è stato nulla da fare. E di questo la figlia non si dà pace.

“La mancanza non è stata nostra” ribatte perentoria. “Noi non abbiamo alcun potere per decidere o meno un funerale. Sono gli organi di competenza che rilasciano la salma e autorizzano le esequie in base a quello che reputano più opportuno”. Nel frattempo, però, a San Marco in Lamis, altre quattro persone sono risultate positive al virus e una settanta circa sono quelle messe in isolamento preventivo. La lunga esposizione della salma in casa, la camera ardente, la celebrazione dei funerali (autorizzati prima di avere il responso del tampone) sono i momenti che hanno segnato il pericolo di contagio. Sul caso, anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, sulla vicenda ha parlato di “errore catastrofico” da parte del medico legale. 

Quante persone sono entrate in contatto con la vittima o con i suoi familiari? “Difficile dirlo - spiega la donna - ma erano tante. Mio padre era un uomo amato e apprezzato da tanti. Un padre attento e un nonno affettuoso; brillava della luce dei suoi due nipoti”, ricorda. “Gli hanno tolto la dignità della persona, la dignità della morte”.

E qui il dolore lascia lo spazio alla rabbia: “Una volta constatato il decesso, alle 19.15, mio padre è stato lasciato a terra, sul pavimento. Solo dopo le nostre rimostranze è stato riposizionato sul letto, dove però non è stato nemmeno ricomposto un minimo. Io non ho avuto il coraggio di vederlo; mia madre invece era straziata da quell’immagine impietosa”.

E lì in quel letto, l’uomo è rimasto fino al giorno dopo (con la sola precauzione di chiudere la porta e di non far entrare nessuno) fino al giorno seguente, quando è stato disposto il trasferimento all’obitorio di San Severo. 

Sì, perché nel frattempo nessuno sapeva come intervenire: dagli operatori del 118 a quelli dell’agenzia delle pompe funebri. L’ipotesi Coronavirus, è evidente, serpeggiava già, ma è stata accantonata in seguito all’avvenuta autopsia e tampone post-mortem. “Domenica sera ci era stato detto, telefonicamente, che al 99% il test era negativo; quindi è stato dato il via libera alla riconsegna della salma e l’autorizzazione ai funerali. Placet cartaceo firmato e consegnato ai necrofori che hanno gestito il tutto". 

Rientrati a casa dopo le esequie, è arrivata la doccia gelata: “Due telefonate dall’Asl in rapida successione, nella seconda venivamo a conoscenza che il tampone era risultato positivo”.

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Familiari e sanitari intervenuti sono stati sottoposti a tampone (da qui gli altri quattro i risultati positivi), mentre gli accertamenti proseguiranno per gradi. “Siamo intenzionati a muoverci per vie legali”, anticipa la donna a FoggiaToday. “Siamo certi ci sia stata più di una mancanza, qualcosa che andava predisposto subito e non è stato fatto. Ci siamo sentiti abbandonati, non ascoltati e non considerati. A mente fredda, razionalizzando il tutto, è palese che ci sono cose che non hanno funzionato. Mi chiedo se, intervenendo diversamente, mio padre si sarebbe potuto salvare. E credo che questo interrogativo mi accompagnerà per il resto della mia vita”.

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