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Cronaca Vieste

"Vorrei abbracciare i pazienti, ma non posso". Una notte in un reparto Covid: "Qui capisci la cattiveria del virus"

Ciro Tomaiuoli, giovane cameraman originario di Vieste, racconta una notte in un reparto Covid della Lombardia, dove opera come volontario della Croce Rossa

"Non sono solito a raccontare ciò che vedo durante i turni in ambulanza. Ma questa volta ho deciso di farlo, quello che segue è una tra tante situazioni che ho vissuto nell’ultimo periodo". Comincia così il racconto di Ciro Tomaiuoli, giovane cameraman di origine garganica (Vieste), da anni residente a Milano. Proprio nella regione in cui il Covid-19 ha mietuto il maggior numero di vittime, Ciro opera come volontario della Croce Rossa Italiana. E ha deciso di condividere la sua esperienza.

"Codice giallo, donna con febbre e crisi respiratorie. Partiamo in ambulanza, arrivo sul posto. Una signora giovane, 43 anni con un filo di voce e in evidente stato di agitazione mi accoglie in casa e mi dice: “Sono positiva al tampone”, ha le palpitazioni. Inizio la normale procedura: le provo i parametri, sono buoni. La rassicuro, inizio a parlarle e si tranquillizza. Le chiedo se abita da sola. Mi risponde: “Mia figlia 22 anni è ricoverata per crisi respiratorie e febbre. Mio marito, è in terapia intensiva”, inizia a piangere. Anche a me viene da piangere ma non posso. Resisto e la tranquillizzo ancora, cerco di controllare la voce e di non far trapelare la mia commozione. Vorrei abbracciarla, perché so che le farebbe stare un po’ meglio, so che a volte un abbraccio rassicura quando le parole mancano, ma non posso. Avvio la procedura per il trasporto in ospedale. È notte, le luci sono soffuse, con la barella entro nel reparto covid. Per chi non lo sapesse, nella maggior parte degli ospedali ora ci sono due percorsi diversi: un ingresso per persone senza nemmeno un sintomo riconducibile al covid, un ingresso per tutti coloro che hanno anche solo 37,6 di febbre.

Vedo un infermiere sdraiato sulle sedie, è stremato. Da quando è partita l’emergenza, non vedo più sorrisi, vedo solo occhi stanchi, ematomi causati dallo sfregamento delle mascherine, vedo infermieri che provano a rassicurare i pazienti, ma che palesemente si portano dentro un dolore indescrivibile, fanno il possibile sia a livello fisico che psicologico, spesso non tornano a casa, molti di loro non vedono le loro famiglie da mesi. Percorro con la barella quei corridoi che ormai conosco a memoria. Muro giallo, pavimento verde, soffitto bianco, se possibile anche i colori hanno perso la “vita”. Nonostante la mascherina, l’odore dei farmaci e dei disinfettanti qui, li senti distintamente. I rumori, invece... Passi nel corridoio, e senti sottofondi di macchinari, respiratori. Ma quando inizi ad avvicinarti alle porte, inizi a sentire i lamenti delle persone, senti il loro dolore. Arrivo al mio punto d’attesa: Sulla mia destra un'anziana signora, sommersa da cavi, tubicini tutti collegati a diversi macchinari. Straziata dal dolore piange e respira a fatica emettendo dei suoni sofferti. I suoi occhi sono sbarrati e con le poche forze che le sono rimaste, si agita. La guardo, i miei occhiali di protezione si appannano per il mio respiro affannoso. Vorrei fare qualcosa, parlarle, abbracciarla, rassicurarla ma non posso fare niente. Qui capisci davvero la cattiveria di questo virus. Questa signora, sa benissimo cosa sta succedendo, e con grandissima dignità, sta aspettando, sola, lontana dai suoi affetti, senza una parola di conforto. Aspetta. Mi avvicino a lei, le prendo la mano e la tengo per un po’ tra le mie. 

Onore a voi medici e infermieri che lottate tutti i giorni con questo mostro. Onore a voi che siete di conforto a tutte queste persone nei loro ultimi istanti di vita. Onore a voi, che ogni giorno lottate per tutti noi. La mia notte prosegue, sapendo che questo reparto lo rivedrò ancora stanotte, come troppo spesso lo sto vedendo negli ultimi giorni. Questa è solo una delle tante “storie” alla quale ogni giorno, ad ogni turno, assisto. Permettetemi di dedicarla: la dedico alle persone che ogni giorno si lamentano, pensando sia tutta una farsa, una messa in scena dello Stato...a tutti quelli che se ne fregano di loro stessi e degli altri, a quelli che sfidano le forze dell'ordine, a quelli che pensano che il virus attacchi solo gli anziani. Questo virus è democratico, non guarda da dove vieni, quanti anni hai o quanti soldi hai. Forse dovreste fare un turno con noi in ambulanza, o peggio ancora, un turno in ospedale con medici e infermieri".

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