Svolta sulla morte della bancaria 39enne: "Non fu suicidio". Condannato il compagno: "Inscenò tutto"
Il gup del Tribunale di Pescara ha condannato l'uomo alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione per abbandono di incapace aggravato dalla morte e vilipendio di cadavere
Ornella Florio non si è tolta la vita, il suicidio della 39enne originaria di Apricena è stato inscenato. E’ quanto stabilito dal gup del Tribunale di Pescara, Fabrizio Cingolani, che per la vicenda ha ritenuto il compagno della donna - Luca Orsini, commercialista 50enne di Pescara - responsabile dei reati di abbandono di incapace aggravato dalla morte e vilipendio di cadavere. Per il fatto, a seguito del giudizio abbreviato, l’imputato (assistito dall’avv. Sabatino Ciprietti del Foro di Pescara) è stato condannato alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione. Le parti civili sono, invece, assistite dagli avvocati Simone Moffa e Michele Di Maio del Foro di Foggia, che incassano un primo e importante risultato che, seppure provvisorio, dà ragione a quanti (familiari e amici) hanno sempre ritenuto impossibile che la donna potesse compiere un gesto così estremo.
La vicenda è quella della giovane bancaria Ornella Florio, 39enne, di Apricena, residente a Pescara e prematuramente scomparsa il 7 luglio 2017. Quella mattina, il compagno della Florio, dopo avere trascorso la notta a casa di quest’ultima, allertò la polizia di Pescara riferendo loro che Ornella si era tolta la vita impiccandosi al termosifone del bagno. “Ma quella del suicidio è una tesi che non ha mai convinto i familiari della vittima, che hanno nominato come consulenti il prof. Vittorio Fineschi, ordinario presso la Università La Sapienza di Roma, tra i massimi esperti della medicina legale, specializzato peraltro nei casi di impiccamento, sui quali vanta grande esperienza e pubblicazioni, e la dott.ssa Carmina Dambra”, spiega l’avvocato Moffa. “Dall’analisi del solco del collo è emerso che Ornella fu sospesa al termosifone dopo la morte e che i segni presenti era stati impressi su tessuti non più vitali”.
Per i consulenti, infatti, Ornella sarebbe morta in seguito ad un edema polmonare da intossicazione da sostanza stupefacente e alcol e, pur manifestando evidenti sintomi di sofferenza, sarebbe stata "abbandonata” dal compagno, che non chiamò - come avrebbe dovuto - i sanitari del 118, e anzi, dopo il decesso, avrebbe inscenato il suicidio, dapprima provocandole lesioni al polso sinistro, poi ‘appendendo’ il corpo esanime della povera Ornella al termosifone del bagno. Anche la difesa ha nominato un consulente tecnico di parte, che ha, invece, sempre sostenuto che Ornella si fosse suicidata, rilevando, sul suo corpo, i segni dell’impiccamento.
Nell’appartamento, aggiunge il legale a FoggiaToday, fu ritrovato anche un biglietto di addio, che Ornella scrisse verosimilmente quella sera quando, in seguito a un violento litigio, minacciò il compagno di togliersi la vita (sul polso della donna, infatti, fu trovato un taglio superficiale che non avrebbe però mai potuto causarne il decesso). Forse da qui l’idea di inscenare il suicidio della donna simulando, come si legge nel dispositivo di rinvio a giudizio “l'impiccamento suicidario di Ornella Florio, sospendendone il cadavere mediante una cintura che le serrava intorno alla gola; quindi, le praticava alcune profonde incisioni sul polso sinistro, con la lama di un coltello da cucina, accentuando le assai più modeste lesioni, al medesimo polso, che la donna, nel corso di un litigio, si era provocatoriamente auto-inferte”. Da queste azioni l’accusa di vilipendio di cadavere, “con l'aggravante di avere commesso il fatto al fine di procurarsi l'impunità dai reati contestati”.
All’esito del processo, con sentenza dello scorso 31 maggio, il gup ha ritenuto il 50enne colpevole, al di là di ogni ragionevole dubbio, dei reati contestati. L’imputato è stato inoltre condannato al risarcimento del danno (da liquidarsi in sede civile) in favore delle costituite parti civili (padre, madre e sorelle della vittima) e al pagamento di una provvisionale di 20mila euro per ciascuna delle parti civili costituite. “Dalla lettura del dispositivo” conclude l’avv. Moffa, “mi pare evidente che il gup abbia anche confermato la circostanza che Ornella, mentre era sofferente, sia stata letteralmente abbandonata a sé stessa. Il reato di abbandono di incapace è una fattispecie molto grave, ancor più se in conseguenza di tale abbandono sopraggiunge la morte, come in questo caso. Tale contestazione era alternativa a quella di omicidio: alla lettura delle motivazioni (che saranno depositate entro il termine di 60 giorni) potremo comprendere perché il giudice abbia opitato per la prima ipotesi e, in seguito, valuteremo, se intraprendere ulteriori iniziative”, conclude.