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Cronaca

"Miserabili! Pagherete tutto!". Confermata in appello la condanna per l'uomo che minacciò l'allora candidato consigliere De Pellegrino

Il 70enne di Foggia è ritenuto colpevole di interruzione di pubblico servizio e minaccia. Il caso riguarda la denuncia presentata dall’ex consigliere comunale del Partito Democratico, allora candidato alle Amministrative 2014, circa il rinvenimento nel suo comitato elettorale - tra la cancellata esterna e la vetrata - di una busta con una lettera indirizzata a diversi soggetti e la frase “Miserabili! Pagherete tutto!”

Lunedì 8 novembre la prima sezione penale della Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado con la quale il 10 febbraio 2020, il tribunale monocratico di Foggia aveva condannato un 70enne ritenuto colpevole di interruzione di pubblico servizio e minaccia, alla pena di sei mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.

Con la sentenza di secondo grado l’appellante – il cui legale difensore il 13 luglio dello stesso anno aveva impugnato la sentenza - è stato condannato a rifondere alla parte civile costituita nella persona di Alfonso De Pellegrino, le ulteriori spese di assistenza difensiva sostenute per complessivi 900 euro, oltre ad un rimborso forfetario di spese generali del 15%.

Il caso riguarda la denuncia presentata dall’ex consigliere comunale del Partito Democratico, allora candidato alle Amministrative 2014, circa il rinvenimento nel suo comitato elettorale - tra la cancellata esterna e la vetrata - di una busta con una lettera indirizzata a diversi soggetti e la frase “Miserabili! Pagherete tutto!”. In quella sede furono recuperati documenti con la mail dell’imputato in evidenza e la dicitura ‘Santia Maestro Zen’ presente negli stessi atti sequestrati all’esito della perquisizione compiuta nei confronti dell’imputato.

Alcuni giorni prima, la notte del 1° maggio 2014, l'attuale direttore operativo di Amgas Blu aveva subito il danneggiamento della vetrata del suo comitato elettorale di via Matteotti, distrutta con una trave di legno. 

Nella sentenza di secondo grado a carico dell’imputato, la Corte d’Appello di Bari – “tenuto conto dell’allarme sociale destato dalle condotte contestate - con particolare riguardo all’utilizzo dell’antrace, anche se nel caso in esame, l’avere aggiunto agli scritti della innocua polvere bianca, intendeva sortire soltanto un effetto intimidatorio o destare allarme nei destinatari, così “rafforzando” il risultato delle missive - non ha ritenuto che i fatti in parola manifestino una “particolare tenuità”. Il riferimento è alle buste sospette inviate dal pensionato nell'aprile dello stesso anno alle istituzioni locali, all'allora sindaco Gianni Mongelli, alla prefettura e comando di polizia locale (leggi qui).

Perdipiù, si legge, "neppure si ravvisa il fondamento delle invocate attenuanti generiche, atteso che il comportamento corretto tenuto dall’imputato nel corso delle indagini era semplicemente doveroso, e non consiste in un quid pluris che giustifichi l’attenuazione del trattamento sanzionatorio. Infondato si ritiene anche il motivo relativo alla liquidazione delle spese della parte civile per il giudizio di primo grado, giacché l’importo di complessivi 2500 euro, oltre accessori, è compatibile con i valori medi liquidabili e si ritiene giustificato tenuto conto della complessità dell’istruttoria svolta e dell’ampia dialettica processuale intervenuta tra i difensori delle contrapposte parti”.

L’avvocato difensore della persona condannata, il 25 febbraio 2019 aveva impugnato anche l’ordinanza con cui il giudicante aveva disposto l’acquisizione della comunicazione notizia di reato nonostante la propria opposizione. Chiedeva in via principale l’assoluzione del reato di cui all’art. 340 del codice penale assumendo che la prova documentale fosse stata acquisita a mezzo di una perquisizione illegittima e che fosse insufficiente.

Invero, il verbale di perquisizione dà riscontro del fatto che l'uomo "è stato edotto delle garanzie della difesa e delle ragioni dell’intervento ed informandolo altresì della facoltà di farsi rappresentare e/o assistere da un legale o da altra persona di fiducia purché prontamente reperibile. Al riguardo questi ha espresso la volontà di non farsi assistere da nessuno”. E ancora, che “prima di procedere al sequestro, reso edotto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, vi rinunciava”. Si legge inoltre nella sentenza di condanna, che il 70enne risulta avere sottoscritto entrambi i verbali, senza nulla osservare in merito.

“Gli indizi raccolti – e in particolare la registrazione, sul computer dell’imputato, dei file contenenti il testo delle missive inviate ai vari uffici, specificate nell’imputazione – appaiono gravi, precisi ed univoci nel dimostrare la sua paternità delle stesse, considerato che fu accertato che il computer era nella sua esclusiva disponibilità".

L’avvocato difensore ha lamentato altresì l’utilizzazione della C.n.r. acquisita nonostante la propria opposizione. E ha formulato analoghe censure anche con riferimento alla prova del reato di minaccia. In subordine, ha invocato l’assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale. Successivamente, ha chiesto di applicare il minimo della pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche.

“La questione relativa all’acquisizione della Cnr - si legge nel dispositivo - pur senza il consenso del difensore, appare poi irrilevante, atteso che la pronuncia impugnata non risulta affatto fondata sul contenuto della Cnr, bensì sull’esito delle prove dichiarative (orali) e documentali”

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