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Cronaca

Carcere duro per il boss Sinesi: niente domiciliari, richiesta è "inammissibile"

L'uomo aveva fatto ricorso in Cassazione, giustificando la richiesta per motivi di salute e incompatibilità con il regime detentivo del carcere duro

Doppia batosta per il boss Roberto Sinesi. Prima il Tribunale di Sorveglianza di Roma, poi la Cassazione (con sentenza di appena 15 giorni fa) hanno respinto la richiesta di detenzione alternativa, in regime dei domiciliari, per dichiarati motivi di salute.  

L’uomo, elemento di spicco dell’omonima batteria della ‘Società Foggiana’ e attualmente detenuto in regime di carcere duro (416 bis) a Rebibbia, attraverso i propri legali, aveva impugnato l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che respingeva la richiesta di concessione del beneficio penitenziario del differimento della pena detentiva, anche nella forma della detenzione domiciliare.

Con due diverse doglianze, Sinesi ha fatto ricorso in Cassazione, lamentando - come si legge nella premessa dell’atto - “violazione di legge e vizio di motivazione conseguenti alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la concessione dei benefici penitenziari invocati, che erano stati valutati dal Tribunale di sorveglianza di Roma con un percorso argomentativo incongruo, che non teneva conto della gravità delle condizioni di salute del ricorrente e disattendeva la richiesta di espletamento di perizia, formulata all'udienza del 07/10/2021”.

Sul punto, si è quindi espressa la Suprema Corte, che ha ritenuto il ricorso proposto da Roberto Sinesi “inammissibile, risultando incentrato su motivi manifestamente infondati”. Il motivo è spiegato in sentenza: “Il ricorso in esame, che veniva articolato in due censure difensive, non individua singoli profili del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende a provocare una nuova, non consentita, valutazione del merito dei presupposti per la concessione del beneficio penitenziario invocato, che risultano vagliati dal Tribunale di sorveglianza di Roma nel rispetto delle emergenze processuali e delle condizioni nosografiche del detenuto. L'ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con una motivazione priva di erronea applicazione della legge penitenziaria, effettuando un vaglio delle condizioni di salute di Roberto Sinesi congruo e conforme agli esiti delle verifiche nosografiche eseguite nei suoi confronti, che non consentivano la concessione dei benefici invocati”.

Si evidenziava, in particolare, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 2 del provvedimento impugnato, che “tutte le patologie da cui è affetto il Sinesi sono sotto controllo e vengono trattate farmacologicamente” e che “fino ad ora non sono stati rilevati eventi clinici di acuzie tali da richiedere interventi urgenti”.

Il diniego espresso dal Tribunale di sorveglianza di Roma, pertanto, risulta agli occhi dei giudici della settima sezione penale della Cassazione “fondato su una valutazione rispettosa delle emergenze nosografiche e conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui, per il differimento della pena detentiva, è necessario che la patologia, fisica o psichica, da cui è affetto il condannato sia grave e tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, esiga un trattamento terapeutico che - al contrario di quanto riscontrato con riferimento alla condizione nosografica di Roberto Sinesi, rispetto alla quale l'espletamento dell'invocata perizia appare superfluo. Per queste ragioni”, concludono, “il ricorso proposto da Roberto Sinesi deve essere dichiarato inammissibile”.

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