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Cronaca

Un anno fa la strage dei braccianti, 12 corpi senza vita sull'asfalto bollente del Foggiano: dopo lo strazio cosa è cambiato?

Esattamente un anno fa le strade di Capitanata si macchiavano del sangue dei migranti di rientro da una dura giornata di lavoro nei campi. "Mai più" si disse. Ma cosa è cambiato da quel tragico agosto 2018?

12 vittime, 2 sopravvissuti. Sono le vittime del caporalato che hanno perso la vita un anno fa nella campagne del Foggiano. Alagie, Anane, Romanus, Moussa. E tanti altri. Ragazzi intorno ai 20-25 anni. Rientravano da una giornata di duro lavoro nei campi. Perché quello che si fa dall’alba al tramonto nella lande assolate di Capitanata è lavoro duro. Nelle condizioni in cui vivono i migranti, poi, lo è decine di volte di più. Sono morti intrappolati in un camioncino sgangherato, di quelli lerci ed anonimi che viaggiano sulle strade provinciali e sui tratturi, perdendosi sotto il solleone, senza targa, invisibili alla vista, inesistenti al mondo. Una tragedia, si disse. E certo che lo era. 12 giovani vite spezzate, come le schiene di quei lavoratori, cotte dal sole e piegate dalla schiavitù, fisica e mentale. Foggia scese in piazza. Mai più disse. La passerella istituzionale del day after non mancò, e ci mancherebbe pure. Destra, sinistra, centro o cinquestelle non fa differenza: ciascuno ebbe una parola a favore di telecamera. Per la prima volta le vittime del caporalato entrarono nel lungo, lento elenco delle vittime di mafia scandito da Libera ogni anno.

Ma cos’è cambiato oggi? Nel pomeriggio in Prefettura si tornerà a fare il punto della situazione. Diversi i livelli su cui si è iniziato ad agire: quello del trasporto (numerosi i sequestri di ‘furgoni della morte’), quello degli intermediari sui terreni, che spesso sono gli stessi braccianti che salgono di categoria. Quello delle sfruttamento da parte delle imprese. Perché i braccianti sono sempre le vittime.

La Prefettura ha istituito una task force contro il caporalato con l’obiettivo dichiarato di smantellare il fenomeno del pizzo sulla forza lavoro con interventi sistematici sul territorio a cadenza settimanale che utilizzano nuovi modelli operativi, sempre più performanti, nelle aree più sensibili della provincia di Foggia, e che non si limitano agli accertamenti agli intermediari, ma vanno alle responsabilità dei titolari delle aziende. Questo in forza della riforma introdotta dalla legge 199 del 29 ottobre 2016 che prevede, accanto all’ipotesi di intermediazione illecita, quella dello sfruttamento lavorativo con cui si punisce chiunque assuma o impieghi manodopera, anche attraverso l’attività di intermediazione.

Il primo effetto del cambio di strategia, del rovesciamento dell’approccio investigativo, lo si è avuto nel giugno scorso quando, per la prima volta, l’operazione partì dall’azienda per giungere ai braccianti. Così, i carabinieri - diretti e coordinati dalla Procura di Foggia - hanno scoperto un mini-ghetto all’interno di una azienda agricola familiare situata lungo la Statale 89, in Contrada Faranello, nel quale alloggiavano 24 uomini, tutti braccianti di origini africane, sfruttati nei campi e ospitati in condizioni di pericolo e di precarietà igienico-sanitaria. Per il fatto, è stata eseguita una misura di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di due fratelli.

Il Prefetto Raffaele Grassi, poi, ha puntato molto sulle ‘liste speciali’ per il lavoro agricolo, gestite presso i Centri per l’Impiego, a cui dovrebbero attingere le aziende per soddisfare l’esigenza di manodopera. Per fare questo, il Prefetto ha stimolato i rappresentanti delle organizzazioni sindacali affinché i lavoratori si iscrivano nelle apposite liste e, nel contempo, le associazioni di categoria affinché le imprese si rivolgano ai centri per l'Impiego per la ricerca dei lavoratori da impiegare nei campi. Quindi, si è deciso di dare massimo impulso alla Rete del lavoro agricolo di Foggia, la prima insediatasi in Italia, affinché vengano promosse virtuose modalità sperimentali di intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro nel settore agricolo e che, per tale motivo, opera in stretta sinergia con la Conferenza  Permanente, convocata con cadenza quindicinale, per poter verificare costantemente il perseguimento di tale obiettivo.

Perché la repressione arriva fino ad un certo punto. La questione è culturale e riguarda tutti i soggetti protagonisti.

Dalla Regione sono arrivati fondi per il trasporto nei campi (che resta l’anello di congiunzione con lo sfruttamento di più difficile scardinamento) e nuovi alloggi, più dignitosi, con l’inaugurazione delle ‘foresterie’ (l’ultima a San Severo il 31 luglio scorso,  ma ne arriveranno altre in altri agri del Foggiano). Saranno la soluzione per un alloggio dignitoso e l’uscita dal ghetto? Molte sono le associazioni che operano nel settore a contestarle, a dire di no. Di certo, però, va dato atto, è un tentativo. I numeri, il punto della situazione questo pomeriggio. Il fenomeno è complesso, gli aspetti da considerare sono tanti. Non ultimo quello della strumentalizzazione, così come il rischio che dai denari immessi nel circuito ne traggano giovamento solo alcune associazioni, senza risolvere il problema. Perchè l’incancrenimento non lo scardini dall’oggi al domani. Soprattutto in una terra che ha girato, spesso e volentieri, la testa dall’altra parte.

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