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Cronaca

L'economia 'opaca' che fa prosperare la mafia, tra bombe e violenza: il "caso unico" di Foggia

Il punto del presidente onorario della Fai - Federazione antiracket italiana, Tano Grasso, ospite dell'Università di Foggia, dopo la serie di atti dinamitardi messi a segno in città dall'inizio del nuovo anno

L’azione della mafia su Foggia diventa un 'caso', unico in Italia. Sfugge alle logiche e alle dinamiche criminali già osservate e sperimentate altrove. L’azione di contrasto, dunque, non può essere improvvisata, lasciata al caso. Bisogna studiare e comprendere il fenomeno e disinnescarlo lì dove esso genera potere e consenso: ovvero, nella convivenza (esplicita o implicita, diretta o indiretta) con le imprese e il tessuto economico in generale.

Solo così si può ricostruire la città a partire dalle macerie, quelle lasciate dalle bombe e quelle generate dalla connivenza nei gangli della cosa pubblica. Ne è convinto il presidente onorario della FAI - Federazione Antiracket Italiana, Tano Grasso, ospite questa mattina dell’Università di Foggia per il ciclo di seminari ‘La città che vorrei’, iniziativa attraverso la quale l’ateneo dauno offre ai propri studenti opportunità e strumenti per immaginare e scrivere un futuro diverso per Foggia (tutte le proposte verranno raccolte in un ‘Manifesto’ che verrà presentato in primavera).

Che la situazione foggiana sia seria lo ammette, senza nemmeno troppi giri di parole, anche il procuratore capo di Foggia, Ludovico Vaccaro, presente accanto al questore Paolo Sirna: “La situazione è grave. Lo dice la sequenza di atti dinamitardi e incendiari registrati dall’inizio dell’anno”, spiega. Poi rivendica l’azione svolta fino ad oggi dallo Stato e richiama il mondo imprenditoriale alle proprie responsabilità: “Lo Stato e le forze dell’ordine ci sono e stanno creando le condizioni per una inversione di rotta. Ma il mondo imprenditoriale non può sottrarsi dal fare la propria parte in questa azione: è necessario chiudere gli spazi all’impresa illecita e tornare ad investire per creare ai nostri giovani opportunità di vita e di lavoro a tutti i livelli”.

A provare a decifrare i meccanismi di azione della ‘Società’ è Tano Grasso, presidente della prima associazione antiracket italiana costituita a Capo d'Orlando nel 1990 e fondatore della Federazione antiracket italiana, di cui è attualmente presidente onorario. Lo fa partendo da una analisi degli ultimi fatti di cronaca: “La città è in apprensione per una serie di atti di violenza ai danni degli operatori economici. Questa affermazione - spiega - non è neutra. Non è un caso, infatti, che il target di riferimento delle mafie, dalle origini ad oggi, sia rappresentato dal rapporto con il mondo imprenditoriale e l’economia”.

Impresa e mafia condividono spesso lo stesso orizzonte territoriale: “Altrimenti viene meno la definizione stessa della mafia, che prende corpo e si identifica attraverso l’esercizio di un potere o sovranità su un dato territorio. E l’estorsione (business primario della mafia foggiana, ndr) è lo strumento per eccellenza che permette di realizzare questo controllo dei luoghi ed esprimere il potere”. Oltre a fare cassa, ovviamente. La prima ‘legittimazione sociale’ della mafia viene data proprio dall’imprenditoria: “Nel momento in cui si paga, ci si sottomette a certe logiche estorsive, si riconosce automaticamente la subordinazione”.

Ma perché il ‘caso Foggia’ è così diverso dalle organizzazioni criminali di altre parti d’Italia? “Per l’abuso della violenza. Il foggiano rappresenta una eccezione in tal senso. La mafia deve sapere fino a dove può spingersi, la violenza non può essere gratuita”, continua Grasso. Le vittime sono fonte di guadagno e ‘distruggerle’ non è quasi mai nei loro piani. “Gli attentati sono strumenti di comunicazione, spot pubblicitari, un modo che dire agli imprenditori che la mafia è presente. Ma qui, a Foggia, c’è un eccesso di violenza, un accanimento verso gli imprenditori che hanno denunciato che altrove sarebbe incomprensibile”.

Presenti in aula anche gli imprenditori Luca Vigilante e Lazzaro D’Auria che, insieme al presidente Alessandro Zito, daranno presto il via all’associazione antiracket ‘Luigi e Aurelio Luciani’, secondo esperimento avviato sul territorio. “Stiamo creando una architettura per dare forza alla società civile”, spiega Vigilante. “Se non ci ribelliamo noi oggi, non faremo spazio a questi ragazzi a cui parliamo di legalità”, aggiunge D’Auria.

Per Grasso, loro sono gli esempi finiti in cronaca dell’azione ‘smodata’ della criminalità. “Altrove se un imprenditore denuncia la discussione è chiusa. E’ una partita persa, un investimento sfumato. A Foggia invece si verifica un irrazionale accanimento, e questo bisogno patologico di violenza indica la necessità dei criminali di rafforzarsi: più accusano gli effetti dell’azione di contrasto, più devono mostrare la loro presenza sul territorio”. Una sorta di braccio di ferro che avviene in uno scenario di tacita condivisione di certi codici: “Si può essere omertosi senza essere mafiosi. O peggio si può essere neutrali: né con la mafia, né con lo Stato”.

L'intervista a Tano Grasso: guarda qui

E qui entra in gioco il ruolo cruciale dell’Università come agenzia di formazione, per un lavoro organico sulla formazione di una coscienza civile nelle giovani generazioni: “La migliore garanzia per comprendere i fenomeni è la scienza”, continua Grasso, neo docente UniFg. “Bisogna affrontare la mafia secondo una strategia. L’antiracket è una strategia, è una associazione di commercianti intelligenti che mettendosi insieme vincono la paura e si rendono più forti. Non è una strada facile e i risultati non arriveranno in tempi brevi”, anticipa. “E’ una sfida di media durata (se tutto va bene) con la consapevolezza che c'è un pezzo di consenso che non sta a guardare, ma agisce”.

Sulla nascita dell'associazione antiracket è intervenuta anche Daniela Marcone, vicepresidente nazionale di Libera: “Oggi, rispetto al passo, c’è la percezione della necessità di essere insieme. C'è una molteplicità di voci che vengono dal territorio: possono sembrare disordinate ma è indice di un certo dinamismo della città, altrimenti saremmo in un territorio depresso. Bisogna fare di più, ovviamente. Ma inizio a vedere delle crepe in quel muro fino ad oggi eretto dalla cosiddetta parte buona della città”.

In chiusura, l’intervento dell’antropologa e docente UniFg, Patrizia Resta, profonda conoscitrice del fenomeno mafioso nel territorio di Foggia e in Capitanata, che studia da oltre 20 anni: “Gli attentati descrivono la città che vorrebbe la mafia, sono il loro slogan. Questi seminari, invece, descrivono una città che cerca il riscatto. E che vuole muoversi finalmente in maniera sinergica nel contrastare la legittimazione sociale rende potenti le mafie e sconfitti i territori”.


 

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