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Cronaca Monte Sant'Angelo

Favorirono la latitanza di Li Bergolis, misura cautelare per 14 indagati

Gli stessi sono ritenuti responsabili di ricettazione, detenzione, porto illegale d'armi da sparo e tentata estorsione. I fiancheggiatori avrebbero consentito al latitante di sottrarsi alla cattura attraverso supporti logistici

Quattordici ordini di custodia cautelare emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese sono stati eseguiti questa mattina dai Carabinieri del Comando Provinciale di Foggia e dai militari del Ros, per aver favorito in concorso tra loro, per giunta con l’aggravante mafioso, la latitanza di Franco Li Bergolis, arrestato lo scorso 26 settembre del 2011 a Monte Sant’Angelo (era nell’elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità).

Gli stessi sono ritenuti responsabili di ricettazione, detenzione  e porto illegale d’armi da sparo e tentata estorsione.

Al centro delle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Foggia e del Ros, la rete di fiancheggiatori che avrebbe consentito al latitante di sottrarsi alla cattura garantendogli appoggi logistici, collegamenti con il nucleo familiare e beni di vario genere.

Eseguite nove ordinanze in carcere, tre ai domiciliari e due obblighi di dimora.

Come riportato dal comando provinciale dei Carabinieri,

potrebbe non essere mai stato solo nei  566 giorni di latitanza. Franco Libergolis, che  nel carcere di L’Aquila sta scontando una condanna all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, potrebbe essere stato sempre in compagnia di suoi fedelissimi, non solo del suo clan.

L’operazione antimafia di oggi, infatti, dimostra che il boss del Gargano aveva stretto un solido legame con esponenti del clan Sinesi-Francavilla, storicamente riconosciuto come una delle batterie più pericolose della mafia foggiana che lo hanno assistito durante tutto il periodo della sua fuga. Questa la vera novità investigativa che apre nuovi scenari sulla mappa della criminalità organizzata della Provincia di Foggia, e che dimostra come il li Bergolis abbia cercato negli ultimi anni nuovi alleati.

Il sodalizio fra le due organizzazioni mafiose si rafforzerà al punto tale che il li Bergolis si troverà a partecipare anche a feste “private” del clan foggiano: nel giugno di due anni fa, insieme alla sua famiglia,  il boss di Monte Sant’Angelo è presente alla prima comunione della figlia di M.C., pregiudicato foggiano legato ai Francavilla. Quest’ultimo metterà a disposizione le sue dimore per permettere al boss di non essere rintracciato durante la sua latitanza. Nel corso della quale sia il gruppo di Foggia (guidato da Francavilla) che quello di Manfredonia-Monte Sant’Angelo (legati direttamente ai li Bergolis) si sono presi letteralmente cura del boss: lo hanno praticamente accudito in tutte le sue necessità, sia di carattere pratico, sia di carattere sentimentale.

Tutti gli arrestati si sono messi a disposizione del Li Bergolis in modo non solo da facilitargli la latitanza fornendogli sicuri rifugi (fra Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Zapponeta e Foggia), somme di denaro, armi, generi alimentari, vestiti griffati, ma soprattutto garantendo al boss la possibilità di essere continuamente in contatto con la propria famiglia. Il ricercato telefonava di contino a sua moglie e alla sua bambina utilizzando schede telefoniche “usa e getta”, alcune delle quali intestate anche a ignari utenti. Compito dei fiancheggiatori era anche quello di agevolare gli incontri della coppia. Va ricordato, a tal proposito, che la notte dell’arresto l’uomo si trovava proprio a letto con la propria consorte, nel centro di Monte San’Angelo, in una casa messagli a disposizione da uno degli arrestati. Identica  disponibilità veniva offerta da un barbiere di Manfredonia: il suo salone era diventato una sorta di “deposito” temporaneo di pacchi che dovevano essere consegnati o ritirati dal boss, pacchi che contenevano biancheria sporca o  pulita riconsegnata dalla moglie, ai viveri, ma forse anche altro.

Alla propria famiglia il boss forniva non solo il sostentamento quotidiano, ma anche le somme che servivano per pagare gli avvocati. Alla moglie e alla bambina, poi, era solito inviare anche regali (un anello con diamante alla donna in occasione del suo compleanno, dei giocattoli alla piccola). I fiancheggiatori avevano, appunto, anche il ruolo di intermediari fra il loro capo e le due donne di li Bergolis. A loro toccava accompagnare la consorte del proprio capo dall’avvocato, con studio a Trani. A uno, invece, in modo particolare – secondo gli inquirenti dell’Antimafia di Bari e secondo i riscontri dei Carabinieri – toccava il ruolo di “braccio destro”: E. M., detto Renzino. Riscontri basati sulle numerose intercettazioni oltre che sui più classici pedinamenti danno all’Autorità giudiziaria la certezza che il Miucci è stato molto spesso in compagnia di li Bergolis durante la latitanza. Così come è dimostrabile che a far compagnia al boss siano stati esponenti del clan Francavilla.

Insomma, un boss che, nei lunghi mesi di latitanza,  è stato a “casa”, nel senso del proprio territorio,  ma che si è  sentito anche molto a casa non solo per l’attività instancabile di favoreggiamento dei suoi fiancheggiatori, ma soprattutto per il clima di omertà generalizzata che ha caratterizzato il territorio del Gargano in quel periodo. L’arresto di li Bergolis, nove mesi fa, e quello dei suoi complici oggi è la dimostrazione concreta che quella cortina di “silenzio e cecità” che circondava la mafia garganica e foggiana si  sta pian piano sgretolando.

 

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