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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca San Severo

Il sanseverese Leonardo Avezzano porta in vetta sul Kilimangiaro quattro rifugiati di guerra

Il team ha scalato la montagna più alta dell’Africa per raccogliere fondi per curare 100 bambini

Dopo la première del suo documentario ‘The Promise’ all’International Film Festival di Amman, l’alpinista-fotografo di San Severo Leonardo Avezzano si è diretto in Africa per un progetto speciale: portare in vetta al Kilimanjaro 4 rifugiati di guerra, Shaqayeq (Afghanistan), Tania (Ucraina), Adnan e Safa (Siria).

“Il dolore causato dalla guerra è universale.  Anche la risposta dovrebbe essere tale”: è questo il messaggio che i 4 rifugiati hanno voluto trasmettere. Il team ha scalato la montagna più alta dell’Africa per una giusta causa: raccogliere fondi sufficienti per Inara per curare 100 bambini colpiti dalla guerra, mission dell’associazione che aiuta i più piccoli in Medio Oriente.

Adnan è sulla sedia a rotelle per colpa di un cecchino che lo ha sparato alla schiena quando aveva 14 anni. Shaqayeq è fuggita dopo che i telebani hanno ucciso suo padre e minacciavano la sua vita e quella di sua madre. È la prima afgana ad aver scalato il Kilimanjaro. Tania ha perso i suoi cari nei bombardamenti che hanno disintegrato il suo paese. Safa ha subito ustioni su tutto il corpo dopo aver salvato i suoi fratelli nella casa in fiamme dopo i bombardamenti.

“Il vero nome del Kilimangiaro (5895 metri) è Uhuru, che significa ‘Libertà’, nome appropriato per il messaggio che volevano portare in cima – spiega lo scalatore Leonardo Avezzano - Ho imparato tanto da questi ragazzi: credi in te stesso, vivi il tuo sogno, lascia perdere ciò che non puoi controllare, concentrati su ciò che puoi controllare.  Abbandona il tuo ego e sii libero.  Puoi essere quello che vuoi essere.  Niente è impossibile, anche quando il mondo fa di tutto per renderlo impossibile.  Un cecchino non può fermare il sogno di essere un atleta olimpico, la politica e la guerra non possono fermare il sogno di essere un fotoreporter, essere un artista a Parigi, essere un architetto o semplicemente tornare a casa. Sono grato di aver condiviso questo viaggio con mio fratello Mostafa Salameh (rifugiato palestinese) e la presidente di Inara Arwa Damon. Abbiamo avuto così tante sfide per mettere insieme questo progetto, sorrisi e lacrime, ma alla fine l'energia che abbiamo ricevuto da Shaqayeq, Tania, Adnan e Safa ci ha aiutato a rimanere in pista. L’unico modo per fronteggiare un fenomeno come la guerra, creato da uomini ciechi e persi, è rimanere uniti e ripudiare la guerra, cercando modo di correggerne i suoi effetti”.

Chi vuole puo’ ancora donare e sostenere 100 bambini colpiti dalla guerra a questo link: https://inara.org/kili2022.

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