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“A Foggia manca ancora la reazione forte della società civile”

'A trent'anni dalle stragi' all'Unifg si parla di lotta alla criminalità, eroi e antimafia sociale

“Il tempo dello scoramento e della rassegnazione deve finire. Manca ancora la reazione della società civile in tutta la sua forza”. A suonare la sveglia è il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, Ludovico Vaccaro. Si concentra sul ruolo della società civile nel contrasto alle organizzazioni criminali il suo appassionato intervento nell’aula magna del Dipartimento di Studi Umanistici in occasione del convegno ‘A trent’anni dalle stragi’, nell’ambito del percorso sull’antimafia sociale attivato dall’Università di Foggia.

Parla di un’aria ancora stagnante, in una terra “bellissima e disgraziata”, proprio come Borsellino definiva la sua Sicilia. “La criminalità organizzata ha sottratto risorse e impoverito il nostro territorio – osserva – il mondo imprenditoriale deve reagire”. Ci sono stati imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare, “pionieri che hanno aperto questa strada”, ma sono ancora poche le persone che li hanno seguiti. "Sono ancora troppo poche le denunce e le testimonianze. C’è ancora troppo silenzio, assoggettamento, troppa assuefazione al crimine, troppa rassegnazione”.

Si è innescato un pericoloso circolo vizioso, avverte il procuratore: "Il mondo imprenditoriale, in questi ultimi decenni, ha subito la pressione criminale, si è rinchiuso in sé stesso e si è messo sulla difensiva. Così facendo ha, in qualche modo, paralizzato lo sviluppo. Ha consentito che quella che è l’azione della criminalità di impoverire il territorio si realizzasse”. Ha illustrato per grandi linee il modello investigativo: oggi in città lavorano 5 pool specializzati che lavorano, ad esempio, per contrastare il caporalato o il reinvestimento dei proventi illeciti. L'attività è focalizzata sulla lotta ai reati lucro genetici: colpire i mafiosi nel patrimonio. “In questi anni abbiamo sviluppato molto la collaborazione e il coordinamento”, spiega il procuratore Vaccaro. Agli studenti che presentano il manifesto ‘La città che vorrei’ rivolge un accorato invito: “Che non sia un condizionale di speranza, deve essere la città che volete. Pretendete una città diversa”. La parola chiave, per lui, è partecipazione.

Le istituzioni affidano alla generazione che non li ha vissuti la testimonianza degli anni delle stragi. Il rettore Pierpaolo Limone era rappresentante degli studenti nel suo liceo a Lecce: “Ricordo vivamente lo sgomento e la paura che seguirono a quelle stragi. Noi organizzammo subito un evento un po’ come questo, trent’anni addietro, dove invitammo le forze dell’ordine, il procuratore di Lecce dell’epoca, Cataldo Motta, e sentire che c’era questa presenza forte dello Stato, nonostante fossimo tutti sotto minaccia, sotto attacco in quel momento, sentire questa determinazione rispetto alla lotta che si stava conducendo nei confronti della criminalità, fu una sorta di balsamo”.

Il prefetto Carmine Esposito faceva parte della Criminalpol di Napoli e il suo capo gli disse di fare le valige per andare in Sicilia. “Stavano raccogliendo un gruppo di investigatori che avrebbero dovuto fare le indagini”, racconta. Da poliziotto qual è stato, avverte il peso della perdita di tre uomini della Polizia, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, uccisi insieme a Giovanni Falcone e alla moglie Francesca Morvillo il 23 maggio 1992. “Solitamente non viene ricordato il loro nome – afferma oggi Esposito - 'gli uomini della scorta' è troppo generico”. Dopo il suo arrivo a Palermo, ha trascorso 10 anni in Sicilia.

Il questore Ferdinando Rossi, a Foggia da un mese esatto, era un giovane funzionario di polizia, aggregato temporaneamente a Genova nell’anno dell’Expo: “Noi che abbiamo una certa età, ricordiamo con precisione dove ci trovavamo in quel momento”, ha esordito. Nel suo intervento, ricorda “i poliziotti e carabinieri che in quegli anni hanno perso la vita per portare alla sbarra a Palermo nel 1986 centinaia di mafiosi. Erano i nostri eroi ma alla fine, se pensiamo a Beppe Montana, capo della Catturanti della squadra mobile di Palermo ucciso nell’85 che aveva 34 anni, o a Ninni Cassarà, ucciso qualche giorno dopo, all’inizio dell’agosto dell’85, che era divenuto di fatto il capo della Squadra mobile di Palermo e ne aveva 38, ci troviamo di fronte a dei ragazzi. Erano dei ragazzi eroi”.

La vicenda professionale di Falcone, dal punto di vista di Tano Grasso, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane, è un “perfetto paradigma di ciò che è stata l’Italia in un determinato momento storico e di ciò che speriamo non ridiventi”. Ha frequentato direttamente Falcone e Borsellino, e agli studenti sceglie di raccontare soprattutto “quello che pochi sanno”.

La legge antiracket, per esempio, “fu un'idea di Falcone, e non tutti lo sanno”.  La sua, come sempre, è una lectio magistralis e dal prossimo anno accademico sarà docente di ‘Letteratura e Mafia’. “Mi fa sorridere sentir dire a qualcuno che combatte la mafia in solitudine. Isolamento e solitudine erano quelli di Falcone”. Quando ringrazia il rettore per la scelta di ripercorrere i tragici eventi di trent’anni fa, la voce si spezza, e riesce a dire solo “ricordare quei mesi”, prima di commuoversi.

A chiudere una intensa mattinata sono gli studenti che hanno consegnato il loro manifesto. “Questi incontri hanno sortito l’effetto sperato” secondo Francesca Bellucci. Più che agli eroi guarda all’opportunità di “calare gli ideali nelle azioni” e il suo intervento scatena il tifo di Tano Grasso che si complimenterà con lei. Desirè Pastore ammetterà che c’è stata “poca collaborazione” da parte dei colleghi e prova a spronarli. In sala, oltre agli studenti più numerosi degli istituti superiori, ci sono soprattutto i ‘senior’ dell’Unifg, e il presidente del Consiglio degli Studenti Mirko Bruno non fa mistero delle difficoltà nel coinvolgimento soprattutto delle matricole nella vita universitaria post Covid. “In una prima fase c’è stata una grande partecipazione rispetto ai desideri e alle istanze con cui poi abbiamo costruito le idee – afferma - però è anche vero che paghiamo pegno rispetto a due anni di pandemia che hanno incentivato i giovani a non partecipare alla vita vera accademica”.

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