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Scontro tra epidemiologi, sulla scuola Lopalco si fa bello ma la collega Gandini lo smonta: "Ci vuole onestà intellettuale"

L'autrice della ricerca pubblicata su una prestigiosa rivista, contraddice l'assessore alla Sanità della Regione Puglia che l'aveva brandita a sostegno delle sue tesi: "L'aumento dell'incidenza dei risultati positivi al test non è rispecchiato da un aumento della mortalità-morbilità che segnerebbe una popolazione più suscettibile"

"Osservare tassi di positività più alti in una categoria rispetto ad un'altra non vuol dire assolutamente un maggior rischio di Covid-19 perché bisogna tenere conto del numero di tamponi fatti". Sara Gandini, direttrice della Divisione di Epidemiologia e Biostatistica dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, coordinatrice e autrice assieme ad altri esperti di uno studio citato - a questo punto impropriamente - dall'assessore alla Sanità della Regione Puglia Pier Luigi Lopalco, lo contraddice: in sostanza, non ha capito l'articolo.

L'epidemiologo, che poco elegantemente aveva definito i colleghi che avevano firmato il lavoro scientifico "i più agguerriti pasdaran anti-Dad", aveva brandito la ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet Regional Health – Europe a sostegno della sua tesi sulla scuola: "Abbiamo sempre sostenuto che la scuola, in piena circolazione pandemica, fosse una occasione di contagio ed il fatto che fra gli operatori scolastici si verifichino più casi rispetto al resto della popolazione ne è la prova".

Stando alla sua interpretazione dei principali risultati della pubblicazione 'A cross-sectional and prospective cohort study of the role of schools in the Sars-CoV-2 second wave in Italy', mostrerebbero con "evidenza il rischio a cui sono stati esposti gli operatori scolastici durante la didattica in presenza". E uno dei grafici mostrerebbe come "gli operatori scolastici sono risultati positivi al virus in misura nettamente maggiore rispetto al resto della popolazione". Da qui la sua deduzione: "Abbiamo fatto bene".

La collega epidemiologa lo smentisce e, per la verità, già l'Università degli Studi di Padova, lo scorso 26 marzo, nell'imminenza della pubblicazione dello studio coordinato assieme alla professoressa Gandini dal professor Luca Scorrano del Dipartimento di Biologia dell'ateneo veneto, sintetizzandolo, scriveva: "indica come l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre 2020 non possa essere imputata all’apertura delle scuole e come la loro chiusura totale o parziale in due regioni italiane non abbia influito sulla diminuzione dell’ormai famoso indice Rt".

Il biologo Scorrano riprendeva un'espressione riportata anche nell'abstract della pubblicazione: "Nel loro complesso, queste evidenze non supportano un ruolo degli individui in età scolare e delle aperture scolastiche come 'motore' della seconda ondata di COVID-19".

E così, "goccia dopo goccia", come piace dire a lei, Sara Gandini prova a trasferire l'interpretazione autentica senza risparmiare stoccate al collega pugliese. "Non si possono confrontare i tassi dei giovani con quelli degli adulti e non si possono fare confronti nel tempo e tanto meno confrontare i tassi degli insegnanti con quelli del resto del mondo se non teniamo conto dell'età e del numero di tamponi effettuati. Certo, basterebbe leggere a fondo gli articoli e le discussioni delle pubblicazioni e non fermarsi alle prime righe, e ci vuole onestà intellettuale. E ci vuole pazienza, perché la posta in gioco è alta e quindi, nonostante il livello di aggressività, bisogna con fermezza proseguire a spiegare e rispiegare .È vero che nel nostro studio sulle scuole abbiamo riscontrato tassi di incidenza più elevati negli insegnanti e nel personale non docente rispetto alla popolazione generale - spiega - ma abbiamo anche mostrato che i dati di contact tracing nelle scuole mostrano che le infezioni secondarie a scuola sono rare e se si tiene conto del tasso sui tamponi effettuati si vede che è inferiore all'1÷ concorde ai tassi trovati negli studi italiani di screening condotti anche a marzo in Sicilia. Infatti, questo aumento dell'incidenza dei risultati positivi al test non è rispecchiato da un aumento della mortalità-morbilità che segnerebbe una popolazione più suscettibile".

Non si limita a fornire una interpretazione dello studio pubblicato da lei e dagli altri ricercatori, ma cita altri studi che mostrano come gli insegnanti non abbiano un maggior rischio di malattia rispetto ad altre categorie professionali. "Recentemente un grosso studio scozzese che arriva fino a gennaio 2021 mostra che sia gli insegnanti che i loro familiari non sono a più alto rischio di ospedalizzazione. Co-autore di questo enorme e importante studio è il mio ex-capo, uno statistico bravissimo, Chris Robertsons. Le conclusioni degli autori sono queste: gli insegnanti e i loro familiari non sono a maggior rischio di ospedalizzazione o Covid-19 grave in alcun momento, sia rispetto agli operatori sanitari che alla popolazione generale; sia prima che dopo la riapertura delle scuole". A supporto delle sue affermazioni pubblica anche i link dei report: quelli inglesi, relativi agli studi sierologici "confermano che non ci sono rischi più elevati negli insegnanti e personale non docente".

Lo studio di Gandini e degli altri esperti (Luca Scorrano, Maurizio Rainisio, Maria Luisa Iannuzzo, Federica Bellerba e Francesco Cecconi) aveva confortato anche la sottosegretaria all'istruzione Barbara Floridia che l'ha incontrata quattro giorni fa. Dal confronto, la pentastellata aveva dedotto che il governo ci aveva visto giusto sulla didattica in presenza. "Le scuole chiuse mettono a rischio i giovani - è stata la conclusione della sottosegretaria - Quelle aperte no". E ora ne è ancora più persuasa: "Le scuole devono riaprire, possibilmente per ogni ordine e grado, e soprattutto non dobbiamo chiuderle più".

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