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Mons. Pelvi chiede sobrietà ai foggiani, "anche a rischio di impopolarità"

il messaggio per il Santo Natale dell'Arcivescovo Metropolita di Foggia-Bovino, mons. Vincenzo Pelvi

Carissimi, chi di noi non sente l’amarezza, al pensiero di coloro che non hanno da mangiare oppure, al caldo della propria stanza, non corre con la mente ai Paesi in guerra, alla carovana dei rifugiati e dei senza fissa dimora? Se, poi, facciamo un viaggio nel guardaroba, quante paia di scarpe ci sono e non usiamo e quanti abiti indossiamo solo annualmente? 

Continuiamo a comprare “cose”, a spendere più di quello di cui abbiamo bisogno, a sciupare senza fare nulla per coloro che non hanno da contraccambiare. Stiamo chiudendo l’orecchio del cuore al grido inascoltato dei vicini, degli stessi abitanti del condominio, che percepiamo come intrusi a cui sbattere la porta in faccia quando ci chiedono di entrare.

Eppure è forte l’urlo di bambini ammalati e denutriti, di giovani disorientati e spenti, di famiglie senza casa, di uomini e donne senza lavoro, di anziani abbandonati, di fratelli fuggiti dalla loro terra che respirano paura e rifiuto.

Stiamo forse diventando una Chiesa e una Città dall’animo impermeabile, che sta disfacendo l’identità di una storia ricca di evangelica condivisione. Non possiamo permetterci di sostituire la dignità umana con il dominio del consumismo, moderna e subdola dipendenza che ha contagiato tutti e resta una malattia in grado di incattivire e incatenare la generosità dell’animo. Frenesia e rumore hanno catturato l’intelligenza mentre l’arroganza e il sospetto le nostre scelte.

Eppure, in un territorio complesso ma significativo come il nostro, vale la pena costruire relazioni di solidarietà con tanta brava gente che ogni giorno sceglie il coraggio del dono al calcolo e alla speculazione. Avere tutto dalla vita non è una fortuna. La realtà non può essere condizionata dall’agenda politica (populismo o no, crisi economica o energetica…), ma dalla comune convinzione che ci siamo necessari e i poveri non possono scomparire dal vocabolario della vita. Dove sono le nostre intelligenze, le passioni e l’impegno per i diritti umani? Anche la lotta per la giustizia e la libertà sembra infastidirci.

Purtroppo il consumismo ci sta svuotando l’anima. Esso resta una menzogna che tende a contraffare la verità. Il vero pericolo sta non tanto in chi contrappone il falso al vero, ma in chi sostituisce il reale con il fittizio. Come uscire da questo inganno? Educandoci alla sobrietà e impegnandoci per ciò che davvero è importante (cibo, casa, salute, istruzione, ambiente, lavoro, pace). Il lusso, la vanità, il piacere, il divertimento, la mondanità sono idoli che incattiviscono e dividono. Il Natale invita a rinnovate scelte di sobrietà da diffondere e condividere, anche a rischio di impopolarità, sull’esempio di Gesù che è nato in una mangiatoia. 

Eppure poteva nascere nel Tempio, una costruzione grandiosa, simbolo del potere religioso. Sarebbe stato accolto da coloro che lo attendevano da secoli e riconosciuto come figlio di Dio. Poteva nascere in qualche splendido palazzo, simbolo della gestione politica ed economica del tempo. Avrebbe creato rumore e ammirazione, forse non sarebbe stato condannato a morte dai politici di allora.

Poteva nascere in albergo, in una casa ma non trova posto. Viene in una mangiatoia e nessuno si accorge e si scomoda per la sua nascita. Solo i pastori corrono da Lui, perché hanno lo stile dei semplici. Gesù, infatti, nasce nel cuore di chi gli fa spazio nell’umiltà e nella piccolezza. A Betlemme, nella casa del pane, si dirigono gli affamati di una vita che non finisce, di una gioia che resiste alle tribolazioni della vita, quelli che non bastano a se stessi, e lo riconoscono.  

L’immagine del Bambino che dalla mangiatoia allarga le mani per un abbraccio di amore evoca la fiducia nel tesoro che è la vita di ciascuno. Anche le nostre siano braccia che servono e cercano, che proteggono e accarezzano, che donano e che difendono. La mangiatoia è una grande scuola quotidiana per imparare a rispettare la storia e le concrete esistenze degli altri – di ogni vivente – così come sono e non per come li vorremmo.

Nel fissare lo sguardo del Bambino sperimentiamo quel particolare movimento intimo di consolazione, che tocca il profondo di noi stessi; non si tratta di un’euforia passeggera, ma di una forza vitale e consolante che, senza fare violenza alla personale volontà, diventa attiva e genuina fraternità che fa germogliare solo buoni sentimenti.    

La sobrietà resta un necessario e realistico primo passo sulla strada di una fraternità maggiore, che abbraccia l’umanità all’insegna dell’amicizia sociale, ma anche l’intero Creato come la sapienza cristiana insegna e il magistero di papa Francesco ci indica con chiarezza.

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