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Sabato, 20 Aprile 2024
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Il calvario della maternità di Antonella, vittima di violenza ostetrica e psicologica: "Mi sono salvata da sola"

Nella biblioteca provinciale, la scrittrice barese ha raccontato il suo calvario alla ricerca di una maternità mai arrivata

La maternità è complicata. Lo è prima ancora di diventare o meno mamma. Perché non si tratta soltanto di prendersi cura di un figlio, ma anche di decidere se diventare o meno madre, quando, come e a che prezzo. Lo sa bene Antonella Lattanzi scrittrice e sceneggiatrice, barese di nascita e romana di adozione che affronta lo spinoso tema nella sua autobiografia dal titolo ‘Cose che non si raccontano’ (Einaudi).

Le cose che non si raccontano – spiega a ‘Foggia Today’ in occasione della presentazione del romanzo in biblioteca provinciale – sono quelle difficili da condividere, quelle ambigue che non puoi classificare come giuste o sbagliate, ma che raccontano le persone per come sono, cioè con la loro bellezza, le loro fragilità e durezze, co la loro cattiveria. Sono comunque cose che fanno parte di noi”.

Come la maternità, appunto. Nel suo nuovo romanzo la Lattanzi si mette a nudo rispetto al tema. A vent’anni interrompe per due volte una gravidanza non voluta: vuole diventare scrittrice e un figlio in quel momento sarebbe stato un impedimento al raggiungimento del suo sogno lavorativo. “Perché ci avevano promesso di poter essere donne realizzate e madri, ma non è vero” tiene a precisare.

Quando si sente finalmente pronta – ironia della sorte – è però il corpo a non esserlo. E così inizia una spasmodica ricerca della maternità. Decide di ricorrere alla procreazione medica assistita, ma il destino ha in serbo per lei una strada tortuosa e dolorosa fatta di test, ecografie, medici, infermieri, farmaci e aborti. Questo figlio cercato “con tanta tenacia” sembra non voler arrivare, e non arriverà, come si legge fin dalle prime pagine. E al dolore di questa mancanza se ne aggiungono altre.

In quel periodo mi sono sentita molto sola – ci rivela – perché ai miei amici (eccezione fatta per Giulia, ndr) non avevo raccontato nulla. E perché sono stata vittima di violenza ostetrica, ma anche psicologica da parte di chi mi ripeteva che dovevo scegliere fra il lavoro e la maternità, o che me lo meritavo se non riuscivo ad avere un figlio. Sono parole che fanno molto male”. Cose che Antonella non ha mai raccontato: “dovevo cercare di salvare quelli che potevano essere i miei figli e anche me stessa” spiega. E alla fine si è salvata. “Da sola, perché non si può appaltare la propria salvezza agli altri” sostiene fermamente.

E, infatti, è così che è nato ‘Cose che non si raccontano’. “Mentre mi accadeva tutto questo – racconta – pensavo che non avrei dovuto dimenticare e quando sono uscita dall’ennesimo ospedale ho capito che avevo una voce che altre donne non avevano e che dovevo usarla per creare una sorta di passaggio che attraverso il dolore portasse alla luce anche gli altri”.

Per usare le parole dello scrittore Nicola Lagioia, Antonella Lattanzi, “ha scritto un romanzo che è una benedizione, una maledizione, una catarsi” che va bene per chiunque, donne, uomini, madri e non, perché mostra come le parole del dolore siano uguali per tutti a prescindere dalle storie.

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