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Venerdì, 19 Aprile 2024
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L'altra faccia di Foggia. C'è chi punta e investe sui ragazzi autistici. iFun: "Vogliamo realizzare qualcosa di clamoroso"

Intervista a Maurizio Alloggio, presidente dell'associazione foggiana di genitori di bambini autistici nata nel 2013. Tanti i risultati raggiunti e tanti gli obiettivi da perseguire: "Puntiamo a innescare processi, non proporre progetti fini a se stessi".

Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’autismo. Fu istituita nel 2007 dalle Nazioni Unite con lo scopo di porre maggiormente il focus sulle persone nello spettro autistico e soprattutto sui loro diritti. Si stima che il 2% dei nuovi nati siano affetti da autismo. “Allo stato attuale non esiste una cura per ridurne l’incidenza, ma possiamo abbassare la percentuale delle persone che si disperdono. Se riuscissimo a dimezzare la percentuale recuperando quelle persone e mettendole al servizio della comunità, allora avremo fatto qualcosa di buono, economico e dignitoso”.

Lo sostiene Maurizio Alloggio, presidente dell’associazione Ifun, sorta nel 2013 da un gruppo di famiglie con figli autistici, ritrovatisi nella zona di piazza Padre Pio a evidenziare la consapevolezza di come a Foggia mancassero spazi adeguati per i loro ragazzi. “Abbiamo pensato che la situazione andasse gestita in maniera diversa, per questo costituimmo l’associazione nel mese di luglio. Foggia aveva bisogno di un cambio di mentalità nell’approccio all’autismo”.

Alloggio rimarca un concetto che è la stella polare dell’associazione: innescare processi, non produrre progetti fini a se stessi. Quei processi che possono e devono modificare le abitudini, le impostazioni del lavoro, sia all’interno della scuola che nella società.

Gli obiettivi sono chiari ed esplicati nelle informazioni della pagina Facebook: “Ci dedichiamo alle famiglie con bambini autistici, ma anche ai loro compagni di scuola e alle famiglie di tutti i bambini. Interazione, inclusione, conoscenza, ma tutto con un filo conduttore: la voglia di affrontare con leggerezza dei pesi che sembrano enormi”.

Nella giornata di oggi IFun celebrerà la Giornata sull’autismo con una serie di iniziative, partendo dalla presentazione di alcuni laboratori e risultati messi a punto con il progetto iDo, per arrivare alla tavola rotonda, che prevede un dialogo aperto tra le istituzioni e le varie associazioni pugliesi che si occupano di autismo.  

Da quell’estate del 2013, ne è stata fatta di strada

“Sì. A Foggia c’erano già state delle importanti esperienze sulla disabilità, ma abbiamo compreso che bisognasse fornire un connotato più forte sulle problematiche relazionali e psicosensoriali, in particolare sull’autismo, così accelerammo il percorso, prima presentando un progetto alla Regione, poi realizzando una collaborazione con l’Università”.

Con l’Università il feeling è stato immediato

“Esattamente. Ci sono tanti ragazzi prossimi alla laurea, che poi avrebbero dovuto sostenere dei corsi di perfezionamento. Abbiamo proposto di fare dei tirocini con i nostri ragazzi, per interfacciarsi con il mondo dell’autismo. Così è nata questa convenzione: tutti i ragazzi che lavorano con gli associati di Ifun, sono usciti dall’Università di Foggia. Nel calcio si parla di cantera (il settore giovanile), noi ne abbiamo creata una di talenti nostrani da coltivare”.

Ci sono vari progetti che avete realizzato in questi anni. Quali sono quelli più importanti?

“Oggi presenteremo i risultati messi a punto con il progetto ‘Ido – Io Faccio Futuro’, sostenuto dalla Fondazione con il Sud. Il progetto punta a mettere in rete scuola, Asl, Servizi sociali e famiglie, realizzando concretamente lo strumento legislativo della presa in carico. Il tutto, condividendo su una piattaforma dati, analisi, valutazioni, monitoraggio e didattica”.

Come funziona, nello specifico?

“La piattaforma consente di monitorare i bambini dall'età di 6 anni fino ai 18. Così facendo, si crea una sorta di ‘cartella clinica’ mediante le quali è possibile seguire i singoli percorsi dei ragazzi, cosicché tutti gli attori che interagiscono con loro, quando cambia un insegnante, una scuola o un educatore, sanno già tutto di quel ragazzo, le sue peculiarità, i problemi da affrontare, gli aspetti sui quali lavorare per consentirgli l’inserimento nella società”.

Un progetto finalizzato all’inserimento nel mondo lavorativo

“Esatto. Noi pensiamo di affiancare, in ambito scolastico, alla didattica di base, una di preparazione al mondo del lavoro. Una didattica specifica che conduca i nostri figli a diventare adulti acquisendo competenze da spendere nel mondo del lavoro.

Da qui si è arrivato allo spin-off con l'Unifg

“Si tratta di un programma di co-progettazione che incentiva la formazione, la ricerca, creerà nuovi servizi e terapia offrendo supporto alle famiglie. È un qualcosa di assolutamente inedito. Alla base dello spin-off c’è la ricerca di una collaborazione tra famiglie, università e mondo dell’imprenditoria, finalizzata alla formazione dei bambini con problematiche psicosensoriali. I casi di autismo sono cresciuti, da solo il welfare dello Stato non può farcela. Se facciamo formazione agli insegnanti, avviando un percorso di valorizzazione delle competenze lavorative costante nel tempo, troveremmo persone autistiche non più viste come un problema da affrontare, ma come una autentica risorsa”.

Com’è cambiato, se è cambiato, l’approccio all’autismo sia in ambito scolastico che sociale.

“È una domanda alla quale è difficile rispondere. Diciamo che sono migliorate le diagnosi. Oggi è più facile diagnosticare l’autismo. Questo ci aiuta, perché prima si interviene prima si recupera. Lavorare su un bambino autistico è più semplice che lavorare su un adulto. Da questo punto di vista la didattica scolastica è diventata più attenta, c’è più interazione”.

A tutti i livelli?

“No, c’è ancora un grosso gap rispetto alle scuole medie e superiori. Un bambino delle elementari è quasi una piacevole risorsa per l’inclusione. Alle medie cominciano i problemi, perché da un lato c’è l’esigenza di procedere con i programmi didattici, dall’altra c’è l’inclusione da dover gestire. E con una didattica che diventa progressivamente più complessa diventa complicato.

E alle superiori?

“Lì c’è la svolta: i ragazzi crescono, diventano adolescenti e quelli autistici tendono a disperdersi maggiormente. Le scuole fanno più fatica a seguirli. E spesso ci chiedono di intervenire. Vede, noi siamo davanti a un passaggio epocale”.

Ovvero?

“Fino a ieri, i nostri figli erano visti come delle galline da batteria a cui somministrare dosi massicce di lavoro a tavolino. Oggi vengono visti sempre di più come persone che hanno la loro tipicità dalla quale si può dedurre qualcosa che consenta a loro di migliorare la propria vita nella società, ma che migliorino anche quella dei genitori. Non possiamo di certo pensare di tornare alle classi speciali. La modalità è cambiata, in Italia come in Europa. Esempi di questo tipo ce ne sono, penso al 'PizzAut' di Milano (la pizzeria gestita da ragazzi autistici) o a Casa Sebastiano nel Trentino. Qui stiamo cercando di fare qualcosa ancora di diverso. Perché il welfare può incidere solo se facciamo interagire i cittadini con le istituzioni”.

In che modo si può fare?

“È sbagliato pensare che tutto possa calare dall’alto. È cambiata la dinamica. Dobbiamo andare oltre il meccanismo per il quale io ho un problema e tu mi dai i soldi per mantenermi in piedi; bisogna invece far sì che le risorse che io ricevo non solo mi aiutino a risolvere il problema, ma mi consentano di restituire qualcosa di utile alla collettività. Se ragioniamo così, pensando a un welfare non più distributivo, ma generativo, allora ce la possiamo fare. Viceversa, perdiamo una grande partita”.

Siamo ancora in piena pandemia, che cosa vuol dire affrontarla con un figlio autistico?

“L’anno scorso rappresentava ancora una novità. Il vero problema è stato quest’anno. Forse, per alcune forme di disabilità, c’è stata la possibilità di frequentare in classe e di lavorare abbastanza bene. Per altri è stato un disastro. Mio figlio mi chiede costantemente quando arriveranno gli amichetti in classe. Per lui è stato un problema: affrontare questa situazione di isolamento è già complicata per un ragazzo normotipico, immagini per un autistico, che già fa fatica a vivere in una società fatta di regole che a volte non comprende. Mio figlio, poi, è molto fisico, ama abbracciare, baciare le persone, essere affettivo. Però non può farlo”.

Questo ha inciso sui percorsi di crescita dei ragazzi?

“Abbiamo avuto problemi di esaurimento nervoso, addirittura casi di depressione. Non è stato semplice, ma abbiamo un gruppo di famiglie che hanno lavorato e lottato con grande entusiasmo. Ne stiamo lentamente uscendo fuori”.

A livello istituzionale quali sono le strategie da mettere in campo?

“Le istituzioni hanno bisogno di riprogrammare e riprogettare. Purtroppo, faccio un atto d’accusa, c’è chi ha ricevuto tanti contributi, specie durante l’emergenza Covid, ma non li ha usati per curare i nostri figli. È fondamentale porre l’attenzione sull’utilizzo dei fondi, affinché servano davvero per la cura delle persone disabili. La Regione, in tal senso, ha fatto quello che doveva fare, erogando molti fondi, ma ora serve un salto di qualità sul controllo e l’utilizzo delle risorse. Le istituzioni locali spesso sono complicate”.

Che difficoltà avete riscontrato?

“Abbiamo chiesto in passato di istituire degli sportelli di ascolto, di consulto. Qui a Foggia non esiste un servizio di parent training. Quando una famiglia scopre che il proprio figlio è autistico, dove va? A chi si rivolge? Chi aiuta i genitori a comprendere che un figlio autistico non è un figlio morto – semmai è morta l’idea di un figlio che avrebbero voluto –, ma un figlio sul quale bisogna lavorare in un certo modo? Questo supporto non esiste a livello comunale né provinciale”.

Il Cts nelle scuole è servito a qualcosa?

“Non mi sembra abbia funzionato poi molto. Dobbiamo strutturare i servizi di parent training, perché i primi medici dei figli autistici sono i genitori stessi. Non possono esserci terapie o altri tipi di interventi se in primis la famiglia non è collaborativa”.

E con il Comune?

“Ci abbiamo provato già con la precedente Giunta, ma siamo rimasti fermi. Le promesse che ci erano state fatte non hanno poi trovato dei riscontri concreti. Offrimmo gratuitamente, pagandolo noi, l’istituzione di una linea telefonica, di un supporto psicologico. Non siamo stati in grado di porlo in essere. E ci avremmo messo noi i soldi, senza chiedere nulla. Nell’attuale Giunta avevamo iniziato a parlare con l’ex assessora Vacca, ma tutto si è bloccato dopo le dimissioni e le ultime vicende che hanno riguardato Palazzo di Città. A volte le istituzioni sono farraginose, eppure la comunità europea ci invita a promuovere la co-progettazione e la co-programmazione, che sono la salvezza dei territori”.

Oggi è in programma una tavola rotonda alla presenza di diversi rappresentanti delle istituzioni

“Sì. Siamo convinti che Regione, Asl, Comune, debbano fare di più. Chiediamo loro di essere nostri partner, per ridisegnare alcune politiche per la disabilità. Non esiste un problema di strutture, che sono dei semplici contenitori, ma di contenuti. Serve fare un salto di qualità, perché l’autismo è un problema non solo di chi rientra in quel famoso 2%, ma dell’intera società. Si può fare, ottimizzando le risorse messe in campo. Su questo vogliamo dire la nostra, fare da collettore per le altre province pugliesi. Con lo spin-off, Foggia non è periferica, ma svolge un ruolo centrale”.

Tra le vostre proposte c’è anche il corso di Tecnici del comportamento nei servizi per la disabilità. Di che cosa si tratta?

In Italia siamo pieni di tecnici e supervisori Aba (Applied Behavior Analysis). Siamo andati a prenderci i più bravi tra questi formatori: l’obiettivo è quello di supportare gratuitamente gli insegnanti di sostegno delle scuole di Foggia nella presa in carico dei bambini e dei ragazzi autistici e con disturbi psicosensoriali. Per noi si tratta di una grande operazione culturale e di competenza. Così facendo, inneschiamo un nuovo paradigma della formazione, che sia il più trasversale possibile e prosegua anche nella fase post-universitaria. Non vogliamo essere i titolari delle competenze, ma vogliamo fornire gli strumenti al territorio. L’università lo ha compreso e ci sta supportando in tutto. È un investimento che facciamo sul territorio”.

Insomma, un processo innescato

“Sì, se poi saranno gli altri a proseguirlo a noi non interessa, l’importante è che si lavori in questo modo. Perché oggi manca la strutturazione dei percorsi, un problema che va affrontato subito. Non c’è più tempo per cincischiare sull’autismo”.

Qual è il futuro di iFun?

“Il progetto iDo è già futuro. Il prossimo step sarà la mobilità sostenibile, interconnessa allo sviluppo dell’innovazione sociale ed economica dei territori. Abbiamo un grande progetto in cantiere, speriamo di realizzare qualcosa di clamoroso. Qui a Foggia abbiamo tante risorse, a livello di spazi e di competenze professionali, di cui nemmeno ce ne rendiamo conto. Adesso stiamo testando questa piattaforma che punta a diventare sistema di presa in carico dell’autismo in Puglia. Il progetto è nato a Foggia, il cuore pulsante è qui. E di questo dobbiamo essere orgogliosi. Spesso si parla di bombe, questa è una bomba dalla cui deflagrazione vengono fuori solo cose buone”.  

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