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Incendi, risse, degrado e schiavitù. Emiliano insiste: "Il ghetto va chiuso", ma mancano i fondi

L'omicidio del 34enne maliano è avvenuto all'interno di un'area sottoposta a sequestro della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari

Sgombero sì, sgombero no, sgombero forse. L’omicidio del 34enne maliano Ibrahim Traore, avvenuto lo scorso 27 giugno all’interno del Gran Ghetto ha riacceso i riflettori sulle emergenze legate a doppio filo con l’immensa baraccopoli che da oltre 10 anni sorge nei campi tra Foggia, San Severo e Rignano Garganico.

Sull’accaduto, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha inviato al Prefetto di Foggia una richiesta di convocazione urgente del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica in merito all’accaduto: “Ribadisco, ancora una volta, la necessità di procedere alla chiusura del Gran Ghetto”, ha spiegato a gran voce il governatore. “La rissa, che ha provocato la morte del trentaquattrenne maliano, sarebbe potuta accadere in qualsiasi luogo, ma si è verificata all’interno di un’area sottoposta a sequestro della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari a seguito di una mia denuncia presentata nel febbraio scorso”.

Controlli a tappeto nel 'Gran Ghetto' | FOTO R. D'AGOSTINO

Una denuncia che seguì il grave incendio che rase al suolo la baraccopoli, che però è rinata dalle sue stesse ceneri, più grande di prima. Una situazione che si ripete ogni anno, ciclicamente. “La Regione Puglia in questi mesi ha fatto tutto il possibile nell’ambito delle proprie competenze per porre fine a questa situazione di degrado. È stato elaborato un piano di intervento già prima della sottoscrizione del Protocollo sperimentale contro il caporalato e, così come richiesto dal Ministero dell’Interno, al fine di procedere alla chiusura dei ghetti (sia quello del Foggiano che di Nardò) si è proceduto a redigere un piano integrato di accoglienza dei lavoratori migranti che sarebbe stato oggetto di finanziamento alla Regione da parte del Governo” ha aggiunto il governatore della Puglia.

Nelle ultime settimane però è stato appreso in via informale che i fondi, inizialmente previsti come disponibili da subito, non sarebbero stati più erogati alla Regione Puglia. Se per Nardò la sinergia tra istituzioni, enti, parti sociali ed associazioni ha permesso di realizzare un intervento temporaneo di accoglienza di una parte dei lavoratori, la situazione del gran ghetto è rimasta identica a prima, nonostante il sequestro dell’area. “La Regione Puglia è pronta a fare la sua parte, ma la morte del cittadino maliano è l’ulteriore dimostrazione che quel luogo va chiuso senza ulteriori indugi”.

Un episodio grave, che è avvenuto nel momento di massima presenza di braccianti. In queste settimane, infatti, il ‘villaggio di cartone’ scoppia. Come ogni anno, di questi tempi, quando la campagna del pomodoro porta in Capitanata centinaia di braccianti agricoli, per lo più africani, che trovano asilo nel gran ghetto. Sono più di duemila, al momento, gli ospiti della baraccopoli; sono quasi tutti uomini, giovani e meno giovani. Non ci sono famiglie in quel pullulare di baracche. Poche le donne: quelle presenti sono solo di passaggio, si tratta delle compagne di alcuni braccianti oppure di prostitute, fenomeno che aumenta parallelamente al numero degli ospiti.

Vivono in condizioni igienico-sanitarie precarie, stipati in centinaia di baracche, molte comunitarie, costruite in legno, cartone e lamiere. Il gran ghetto è materia viva e cambia continuamente: si svuota e si rimpolpa seguendo il ritmo delle stagioni e le chiamate dei caporali che impiegano questo esercito di ‘invisibili’ nei campi del Tavoliere. In queste zone funziona ancora il metodo del passa-parola. E molto spesso sono gli stessi braccianti che portano altri connazionali ai caporali. Stimare il guadagno di una loro giornata di lavoro nei campi non è cosa facile.

In linea di massima, i braccianti vengono retribuiti circa 3 euro, massimo 3,50 a cassone (circa 350 kg). In una giornata di lavoro tipo (circa 10, 12 ore) si possono completare fino a 10 cassoni, per un guadagno teorico di 30/35 euro. Ma a questa somma va decurtato il guadagno del caporale e i costi di trasporto dei braccianti dal ghetto al campo di lavoro e viceversa. Insomma, a conti fatti, se restano 20 euro nelle tasche del migrante di turno è un successo. Di contratti, ovviamente, nemmeno l’ombra, e se risultano delle giornate di lavoro, sicuramente non sono in numero sufficiente a garantire una eventuale disoccupazione. La piaga del caporalato, in Capitanata, ha radici profonde ed è difficile da debellare: come ogni anno - schiena piegata e mani nella terra - gli schiavi del pomodoro sono un esercito.

FOTO | Notte di fuoco al 'Ghetto' dei migranti, bruciano 30 baracche

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