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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Foggia al centro spaziale ‘Nasa’ con la missione del prof. Mori: “Esperienza travolgente”

Il prof. Mori ha partecipato alla missione “In Vitro Bone”, partita lo scorso 2 aprile da Cape Canaveral (Florida) col lancio del razzo ‘Falcon 9’ verso lo spazio

Il prof. Giorgio Mori (associato di Malattie ondostomatologiche al Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell'Università di Foggia), in qualità di componente dell’équipe di ricerca allestita dall'Università di Bari, si è occupato di osservare reazioni e comportamenti delle cellule ossee nello spazio. Il prof. Mori ha partecipato alla missione 'In Vitro Bone', partita lo scorso 2 aprile da Cape Canaveral (Florida) col lancio del razzo ‘Falcon 9’ verso lo spazio: l’esperimento intende verificare l’efficacia della molecola ‘Irisina’ per la lotta contro l’osteoporosi e l’atrofia muscolare e, di conseguenza, favorire le future spedizioni spaziali.

Gli esperimenti sono stati inviati a bordo della capsula Dragon (dell’azienda spaziale americana SpaceX), contenente anche 2 payload, con gli esperimenti del team di ricercatori di UniBa e UniFg. Il 4 aprile scorso, come previsto, è avvenuto l’aggancio alla stazione spaziale orbitante. Oltre al prof. Mori, l’équipe di ricerca era composta dalla prof.ssa Maria Grano (coordinatrice del progetto, ordinario di Istologia alla Scuola di Medicina dell'Università di Bari), dalle proff. Silvia Colucci, Giacomina Brunetti, Graziana Colaianni (tutte del Dipartimento di Scienze mediche di base, neuroscienze e organi di senso dell'Università di Bari) e appunto dal prof. Giorgio Mori.

La testimonianza del prof. Mori

«Siamo arrivati al Kennedy Space Center (KSC) lunedì 26 marzo. Il centro è immerso in una riserva naturalistica che mantiene intatte le caratteristiche dell’ambiente, avendo conservato la maggior parte della vegetazione e delle specie animali originarie. Perlustrando in auto la riserva abbiamo subito notato la presenza di numerosissimi uccelli tra cui rapaci e pellicani, ma soprattutto nei canali paralleli alla strada nuotavano senza scomporsi degli alligatori. La prima tappa è stata al Badging Office, che ci ha rilasciato il pass per accedere e circolare nel KSC e nella nostra zona di lavoro: l’Industrial Area che accoglie i laboratori della Nasa. Siamo stati subito accolti da un team di guardie del corpo che sarebbero state la nostra guida, nonché riferimento, per tutta la missione. Tuttavia non è stato facile orientarsi negli enormi spazi dedicati ai laboratori; oltretutto i parcheggi e le zone esterne richiedevano la presenza di personale addetto alla nostra sicurezza, poiché soprattutto di sera cinghiali e a volte alligatori si avventurano fino a queste aree. In primo luogo, come attività iniziale, abbiamo seguito un corso di orientamento e sicurezza per capire cosa fare, ma soprattutto cosa non fare e come gestire le eventuali emergenze. L’ingresso nell’edificio principale ci ha subito regalato emozioni intense: erano infatti presenti immagini della recente storia delle missioni spaziali e mega schermi con riprese delle attività all’interno e all’esterno della Stazione spaziale orbitante. Poi finalmente abbiamo avuto accesso ai laboratori.

Ad ogni gruppo era stato dedicato uno spazio: le caratteristiche di tutte le apparecchiature scientifiche erano di ottimo livello e ci siamo subito ambientati e messi al lavoro. L’organizzazione curata dal responsabile Lobke Zuijderduijn dell’agenzia spaziale Europea (ESA), che aveva concordato gli esperimenti con la NASA, era perfetta: ogni minimo dettaglio era stato curato. Le norme di sicurezza erano rigide, l’ingresso al nostro laboratorio richiedeva l’inserimento di un codice a cinque cifre, così che solo noi potevamo accedervi. Tutto ha funzionato perfettamente, dall’allestimento delle colture cellulari alla loro integrazione nelle pathway, grazie alla collaborazione con i tecnici canadesi della CALM che hanno realizzato l’intero sistema e le payload, che consentiranno alle nostre cellule di vivere nelle condizioni giuste e a noi di raccogliere i dati utili alla fine della missione. Quello che immaginavo, avendo testato per gli ultimi due anni le procedure, e che tuttavia è stato sorprendente verificare, corrispondeva alla realtà: nulla era stato lasciato al caso, ogni passaggio sperimentale era stato preventivamente scritto e in seguito veniva letto, eseguito, controllato e certificato. La notte di sabato 31 marzo ha rappresentato un momento cruciale: a sole 40 ore dal lancio, i nostri esperimenti sono passati alla fase finale e sono stati consegnati ai tecnici NASA per essere inviati nella capsula “Dragon”.

Abbiamo lavorato tutta la notte ma con massima concentrazione, consapevoli di realizzare un esperimento che sarebbe andato in orbita intorno alla terra. Lunedì 2 aprile, alle 16.30 ora locale, noi ricercatori eravamo riuniti sul prato poco distante dalla rampa di lancio del razzo “Falcon” che sarebbe decollato a breve. Abbiamo assistito in diretta tra rombi e fumi, come di fuochi d’artificio, al lancio della capsula “Dragon” che conteneva il nostro lavoro. Renderci conto, osservando il cielo, che quello che era stato tra le nostre mani fino a poco prima stava lasciando la terra per raggiungere lo spazio, è stata un’emozione travolgente. Siamo ora in attesa di poter analizzare i dati degli esperimenti, con la speranza che contribuiscano ad adottare delle misure che possano rendere in un futuro prossimo la vita nello spazio più simile a quella sulla terra».

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