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Parco del Gargano, "porte chiuse e orecchie da mercante". Antonacci e quel 'Manifesto' respinto: "Nostra battaglia prosegue"

Dalla perimetrazione disomogenea dell'area alla mancanza di un piano del Parco operativo: il punto del garganico Domenico Sergio Antonacci, tra i promotori del ‘Manifesto per il buon governo del Parco nazionale del Gargano’

Il movimento legato al ‘Manifesto per il buon governo del Parco nazionale del Gargano’ non si è fermato. “Abbiamo fatto le nostre proposte e tutto quello che era in nostro potere. Sulla strada abbiamo incontrato porte chiuse e orecchie da mercante, ma la nostra ‘battaglia’ prosegue. Ci siamo e continueremo a denunciare e a dire cosa non va”.

Lo assicura a FoggiaToday uno dei promotori del ‘Manifesto’, Domenico Sergio Antonacci, che da garganico doc non arretrerà di un passo: “Continuiamo ognuno nel proprio piccolo, ciascuno con la propriacoscienza e sensibilità: lo facciamo perché crediamo nel nostro territorio e ci arrabbiamo davanti alle cose che non vanno”. E sono davvero tante le cose che ad Antonacci & Co non vanno giù. “A partire dalla scarsa partecipazione attiva dei nostri coetanei. Se fossimo stati un esercito di ‘giovani incazzati’ per il nostro futuro, forse avremmo avuto altre risposte ed altre opportunità”. Nelle sue parole c’è rabbia e amarezza, ma non rassegnazione.

Quest’anno il Parco nazionale del Gargano spegne le sue prime 25 candeline, ma non c’è stata, a suo avviso, l’attesa svolta nella governance dell’ente. Un anno fa, la nomina a presidente del professore UniFg Pasquale Pazienza. “Abbiamo avuto con lui un incontro lo scorso agosto, gli abbiamo sottoposto la nostra idea di ‘Manifesto’ ma non abbiamo ottenuto la sperata sottoscrizione. Sarebbe stato un segno importante, un impegno per un reale cambiamento”, spiega.

Sì, perché nella visione di Antonacci, 32enne di Carpino, blogger, guida turistica e profondo conoscitore del territorio, le comunità garganiche si stanno disgregando, “e mentre l’ente prosegue sulla sua strada, i ‘nemici del Parco’, cavalcando il disappunto per i danni economici subiti per la presenza del lupo e del cinghiale, raccolgono firme nelle piazze per la sua chiusura o riperimetrazione”. Un segnale preoccupante. “E’ troppo grande la distanza tra il cittadino e l’ente Parco, c’è chi non percepisce più il beneficio di questo strumento. Eppure noi giovani garganici, con mille firme a sostegno del nostro ‘Manifesto’, ci eravamo liberamente messi a disposizione dell’ente per mettere in campo iniziative utili a riconnettere questo tessuto che si sta sfibrando”.

Cosa è mancato, allora, per la tanto attesa svolta? Antonacci non ha dubbi: “Oltre all’apporto vitale delle sollecitazioni delle comunità (e dei giovani delle comunità, il futuro), è mancato e manca tuttora il ‘Piano del Parco’, ovvero lo strumento imprescindibile per una pianificazione a medio-lungo termine, che determina anche le strategie di azione. Ebbene - continua - il Parco del Gargano, a 25 anni dalla sua istituzione, non ne ha ancora uno operativo. E’ bloccato nei vari iter, e senza di esso si lavora in emergenza, senza una prospettiva a lunga gittata”. Inoltre, il piano in questione è stato redatto molti anni fa e, allo stato, risulterebbe obsoleto e per nulla performante.

“Un Piano del Parco efficace deve tenere assolutamente conto dello sviluppo socio-economico del territorio connesso all’aspetto naturalistico, alla sostenibilità ambientale. Il binomio deve essere giovani e ambiente”. Antonacci non ha dubbi al riguardo. “Chi amministra comunità ed enti forse non si rende conto che i loro figli scappano da questa terra, c’è una crisi demografica che fa paura. Il Parco non avrà la soluzione a tutti i problemi, ma sicuramente ha gli strumenti importanti per una nuova narrazione del territorio, avendo in bilancio ogni anno importanti risorse economiche”.

Altra nota dolente è la perimetrazione del Parco, affatto omogenea. Apparentemente illogica. “Andrebbe riperimetrato, e non per ridurre la superficie ma per estenderla. Basta guardare Google Maps per accorgersi che nel verde dell’area ci sono buchi inspiegabili: nel cuore del Gargano ci sono zone che non rientrano nel Parco. E’ assurdo. E questo perché 25 anni fa, ci furono resistenze fortissime che furono in qualche modo assecondante. Da un punto di vista naturalistico è inconcepibile”. Ancora, bisognerebbe creare strategie per creare economia e integrarla all’offerta turistica. “Le parole che ascoltiamo nei convegni andrebbero tradotte nel concreto”. Ma non tutte le colpe sono nelle amministrazioni o nella politica: “Troppe occasioni non vengono colte, troppi bandi vanno deserti: bisogna partire dalla cultura, ovvero curiosità, conoscenza del territorio, spirito imprenditoriale e nuove visioni”.

Il dito viene puntato contro i garganici: “Troppo spesso ci accontentiamo. Lamentarsi è la cosa più facile. Se non facciamo prima questo passaggio, mai si integrerà proficuamente l’artigianato o l’allevamento col turismo, l’aspetto naturalistico con il concetto di accoglienza. Si resta sempre in stallo. Alcune piccole realtà lo stanno facendo questo sforzo, ma non basta l’azione di un singolo: tutto il territorio deve muoversi nella stessa direzione. Ci sono ancora troppi garganici che non conoscono fette di territorio dalle potenzialità incredibili”. Insomma, la vecchia storia del patrimonio invidiabile che nessuno riesce a valorizzare.

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