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L'Università di Foggia dice addio ad 'Archeologia' e 'Operatore giuridico'. Ricci: "Atto dovuto"

Il Rettore Ricci: "Archeologia chiusa perché non rispetta i requisiti del Ministero. La scelta di chiudere i due corsi è un atto dovuto. Non è un provvedimento preso a cuor leggero"

Mancano i requisiti minimi imposti dal MIUR, l’Unifg rinuncia ai corsi di laurea in “Archeologia” e “Operatore giuridico”. E’ quanto deciso del Senato accademico dell'Università di Foggia che, tra le altre disposizioni, ha deliberato all'unanimità l'Offerta formativa dell'anno accademico 2015/16. Partendo dalla necessità di rimodularla, dopo ampio e partecipato dibattito, il Senato accademico è giunto all'approvazione del provvedimento di chiusura di due corsi di laurea: quello di “Archeologia” (nell'ambito del Dipartimento di Studi umanistici. Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione, ad oggi 8 pre immatricolati per l'a.a. 2014/15) e quello di “Operatore giuridico della Pubblica Amministrazione” (nell'ambito del Dipartimento di Giurisprudenza, ad oggi 41 pre immatricolati per l'a.a. 2014/15).

La chiusura dei due corsi si è resa necessaria in ottemperanza del Decreto Ministeriale 47/2013 che, per la loro sostenibilità, stabilisce il numero minimo di immatricolazioni necessarie per i corsi di laurea triennale in Giurisprudenza (cioè 50) e per i corsi di laurea magistrale in Archeologia (10). Inoltre, la decisione, assunta questa mattina, applica la delibera adottata dal Senato accademico dell'Università di Foggia il 9 dicembre 2009, che aumentava la sostenibilità dei corsi di laurea del nostro Ateneo del 50% rispetto alle tabelle ministeriali di riferimento: stando a questa delibera, i requisiti minimi per la sostenibilità dei corsi salgono quindi a 75 (triennale Giurisprudenza) e 15 (magistrale Archeologia) immatricolazioni.

“Abbiamo tentato di salvare archeologia – argomenta il Delegato alla Didattica e all'E-Learning, prof. Pier Paolo Limone – cercando di perseguire anche la strada del corso di laurea interateneo con le università di Potenza e Bari, quindi con la collaborazione con una delle Università di Parigi, ma purtroppo non è stato possibile. Tra l'altro queste soluzioni alternative sono state cercate e dibattute direttamente dai docenti di archeologia, lasciando a loro piena autonomia di manovra purché il risultato finale conducesse alla salvaguardia del corso. Ma non è bastato”.

“Segnatamente per il corso di archeologia, posso aggiungere che quello in corso non va considerato come un anno accademico di carattere eccezionale in cui si è verificato un calo delle immatricolazioni difficilmente interpretabile; piuttosto le nostre considerazioni hanno tracciato un'analisi ben precisa: ovvero che negli ultimi tre anni il numero degli immatricolati al corso di archeologia non ha mai superato la soglia minima imposta dal MIUR. La Riforma Gelmini ha introdotto principi di autovalutazione che consentono agli Atenei di presentarsi, possibilmente con le carte in regola, al momento dell'attribuzione del Fondo di finanziamento ordinario”.

“Se non rispettiamo questi princìpi di autotutela, rischiamo grosso; il Senato accademico ha compreso che si tratta di un lusso che non ci possiamo permettere”. Lo scorso gennaio era stato proprio il rettore Maurizio Ricci a sollecitare l'individuazione di una soluzione al Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere, Beni culturali e Scienze della formazione, incentivando strade alternative quali la possibilità di stabilire accordi e intese accademiche con le Università di Potenza, Bari, Parigi o altri Atenei. Inoltre la discussione dell'Offerta formativa 2015/16 da parte del Senato accademico era stata rinviata dallo scorso ottobre ad oggi, nella speranza di intercettare nel frattempo le immatricolazioni necessarie al raggiungimento del numero minimo imposto dal MIUR.

Riguardo alla decisione di chiudere i due corsi di laurea assunta dal Senato accademico (esito del voto: 6 contrari, 1 astenuto, 17 favorevoli), “il Corso di laurea in archeologia è stato chiuso perché – puntualizza il rettore - non rispetta i requisiti minimi imposti dal Ministero. La scelta di chiudere i due corsi è stata un atto dovuto; se non lo avessimo fatto noi lo avrebbe fatto il MIUR con una perdita di risorse finanziarie per l'Ateneo. Infatti, le scelte dell'Università, in relativa autonomia, sono valutate da commissioni esterne che attribuiscono, dopo un attento scrutinio documentale e una visita in loco, un punteggio oscillante tra il pieno accreditamento (con un incremento del Fondo di finanziamento ordinario, fondamentale per le entrate di ogni Università, specie in una fase di continue riduzioni), oppure la soppressione di alcuni corsi di studio (con una riduzione del citato FFO, oltre a un evidente danno alla nostra reputazione nazionale)”.

“Riguardo al sit-in che ha anche fatto ingresso all'interno dell'aula consiliare durante il Senato accademico, mi permetto di aggiungere che la partecipazione democratica è sempre gradita qualunque forma di espressione rappresenti; resto un po' perplesso quando appare fortemente strumentalizzata com'è successo questa mattina. Forse qualcuno dimentica che per un Rettore non è affatto piacevole chiudere un corso di laurea del proprio Ateneo ma deve fare gli interessi dell'Università che rappresenta nel migliore dei modi e nel rispetto delle leggi vigenti. E a chi si affretta a darne una chiave di lettura del tutto personale, rammento che ne abbiamo chiuso uno anche in capo al Dipartimento di Giurisprudenza in cui io stesso insegno. Non si è trattato di un provvedimento preso a cuor leggero”. 

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