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Persi 232milioni di euro all'anno in agricoltura, ma la Capitanata è ancora il 'pastaio d'Italia': ecco come invertire la rotta

Umberto Porrelli, vicepresidente Alppa Cgil Puglia (associazione dei piccoli produttori agricoli) e Daniele Calamita, Responsabile Sistema Servizi CGIL Foggia, analizzano i dati ISMEA 2016

"Il settore agricolo rappresenta ancora un importante settore strategico per la nostra provincia. Se si analizzano i dati (2016) della Camera di Commercio, si evince che su un totale di 72.505 imprese attive, le imprese agricole sono circa il 35% del totale (25.361); altro dato importante è rappresentato dal peso nel comprato manifatturiero dalle Industrie alimentari che rappresentano il 26% (1.009 su 3.859); in quella che è l’industria alimentare rientrano le 2 più grosse aziende del territorio e che si occupano della trasformazione pastaia (Barilla e Tamma) che producono annualmente 243.000 tonnellate/anno di pasta (dato 2016), pari a 2.430.000 kg/anno, a dimostrazione che Foggia continua ad essere non solo il granaio, ma anche il pastaio d’Italia”. Umberto Porrelli, vicepresidente Alppa Cgil Puglia (associazione dei piccoli produttori agricoli) e Daniele Calamita, Responsabile Sistema Servizi CGIL Foggia, analizzano i dati ISMEA

“Dall’analisi del 2016 emergono alcuni dati – scrivono-: la produzione di grano duro è stata di 965.580 tonnellate, prodotte su una superficie coltivata di 240.000 ettari e con una produzione media di 3 tonnellate/ettaro. Se si considera che la pasta si fa con la semola, che la stessa può essere prodotta solo da grano duro e che il coefficiente di trasformazione grano/pasta è 1,5 (quantità di grano necessaria per produrre pasta), emerge che la capacità produttiva (in termini di pasta) del nostro territorio è di 643.720 tonnellate a fronte delle 243.000 prodotte.

Dati – aggiungono- che dovrebbero farci riflettere su quanto sia importante questo settore ma dai quali, al tempo stesso, emerge come il nostro territorio produca molto meno delle reali capacità: solo il 38% della reale capacità produttiva viene trasformato nel territorio, il resto prende strade alternative alla trasformazione in loco. Nel contempo ogni anno assistiamo ad un progressivo abbandono della coltivazione di grano duro, passato da più di 254.000 ettari del 2010 a 242.000 del 2016, frutto da un lato dalla stanchezza dei terreni e dall’altro (molto più incidente) dall’altalenanza del prezzo di vendita. Basti vedere la punta massima (anno 2014) dove il prezzo si attestava sui 40 euro/ql al dato ultimo (2017) dove ha registrato un minimo storico di 17 euro/ql con ben 24 euro/ql in meno, che rapportato al totale della produzione significa aver perso nell’intera Capitanata circa 232 milioni di euro all’anno dal 2014 ad oggi. Se a ciò si aggiunge che non si valorizza la qualità delle produzioni, il dado è tratto”.

“Da queste analisi – dicono i due- scaturiscono considerazioni che dovrebbero vedere le industrie pastaie del territorio fautori e attori di un cambiamento e che dovrebbero valorizzare di più le produzioni locali, garantendo da un lato un prezzo minimo e dignitoso di ritiro della materia prima, e, dall’altro, un incentivo consistente a chi punta su produzioni di qualità, attente a mantenere alti i livelli proteici e di qualità alla pastificazione. Attuare questo percorso significherebbe riavvicinare i produttori alla coltivazione del grano duro, creare sistemi di redditività nel settore e migliorare le performance qualitative delle nostre produzioni, ed al tempo stesso – concludono- abbassare i costi di produzione del settore pastaio che oggi importa grani esteri (Canada), che certamente non viaggiano gratis".

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