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Cronaca

Con Gabrielli lo Stato si accorge di Foggia: “Organici di polizia vanno potenziati”

Il prefetto Gabrielli: "Sappiamo che questo è un territorio complicato, in cui i problemi non mancano nonostante un impegno straordinario delle forze di polizia. In prospettiva, si devono potenziare gli organici, stabiliti nel 1989"

“Foggia, più di altre realtà, ha bisogno che gli organici delle forze di polizia vengano rivisti e potenziati”. Lo ha dichiarato il capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza, il prefetto Franco Gabrielli, in città per una visita privata all’arcivescovo Vincenzo Pelvi e per un incontro in questura con i vertici e gli appartenenti della polizia in provincia di Foggia.

Il prefetto Gabrielli conosce bene la realtà di Capitanata. “Le nostre strutture sono solite aggiornare costantemente il centro. Sappiamo bene che questo è un territorio complicato, dove i problemi non mancano sia sotto il profilo della grande criminalità che della criminalità diffusa, realtà per le quali c’è un impegno straordinario delle forze di polizia. Ritengo però che, in prospettiva, questo territorio debba vedere aumentare gli organici previsti, stabiliti nel 1989”.

Una carenza di personale che 'pesa' sul territorio come un macigno, nonostante rispetto al piano di 27 anni fa la questura e i commissariati abbiano già personale in più. “Vanno rivisti gli organici in modo complessivo e ci stiamo lavorando. E’ in corso un tavolo a Palazzo Chigi che sta ridefinendo gli organici, anche dal punto di vista dell’interazione con altre forze di polizia. E’ un lavoro molto serio: significa risegnare sul territorio i presidi di polizia”.

Sull’emergenza Cara di Borgo Mezzanone, Gabrielli ribadisce che sono in atto “ricognizioni ispettive da parte parlamentare e attività del Ministero dell’Interno”. Per quanto riguarda invece il tema dell’immigrazione, lo stesso sottolinea il carattere generale della questione: “L’emergenza immigrazione riguarda l’intero paese. E sul piano del terrorismo, indubbiamente viviamo una minaccia, il che non significa che si abbia contezza di progettualità terroristiche alle porte”, spiega.

“Non vorrei però che questa situazione venga interpretata secondo la classica ambivalenza italica, ovvero che si passasse da una ingiustificata rassicurazione ad un altrettanto ingiustificato allarmismo. La minaccia c’è, gli apparati stanno svolgendo la loro funzione ma questo non ci mette al riparo: non esiste nè il rischio zero, né la sicurezza assoluta. L’atteggiamento del paese è quello ‘del pendolo’: si passa dall’allarmismo alla fatalistica rassicurazione. Ma esiste un mezzo, che è dato dal fatto che la minaccia c’è e può concretizzarsi”.

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