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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Manfredonia

Trovato un altro lupo morto sul Gargano: non è stato investito ma forse avvelenato

Convivenza ancora critica ma ci sono conoscenze scientifiche e strade istituzionali per affrontarle. No a strumentalizzazioni politiche contro il Parco del Gargano.

Nei giorni scorsi è stata rinvenuta l’ennesima carcassa di un Lupo, a sud della perimetrazione del Parco Nazionale del Gargano, grazie alla disponibilità e collaborazione dell’azienda Menichella, nel manfredoniano.

“L’ottimo rapporto con gli agricoltori, - dichiara Enzo Cripezzi della LIPU - con cui conduciamo attività di monitoraggio sulla biodiversità negli ecosistemi agropastorali come in questo caso, ha permesso di recuperare la carcassa da un fossato fangoso affinché fosse consegnata all’Istituto Zooprofilattico di Foggia per le analisi del caso, a cura del dr. Petrella. Saranno cosi acquisite preziose informazioni sulla specie.

La distanza dalle strade lascia intuire una esclusione di impatto da autoveicoli come nella maggior parte dei casi. Per contro presuppone un’altra preoccupante possibilità: l’avvelenamento, che oltre ad colpire direttamente il lupo, ha effetti negativi anche su altre specie. Il rinvenimento diffuso di diversi esemplari deceduti, testimonia la criticità indotta da un territorio sempre più ingabbiato da opere di antropizzazione sulla fauna selvatica che ha bisogno di spostarsi per sopravvivere. In particolare, il Lupo (soprattutto individui giovani, in dispersione) si sposta su ampi territori e in meno di una notte può tranquillamente passare dai Monti dauni al Gargano. Strade permettendo.

Le criticità di convivenza tra questo predatore e la pastorizia, affrontate con successo negli areali storici del Lupo, sono ancora evidenti in Puglia e hanno determinato soprattutto sul Gargano (ma non solo) una insofferenza da parte degli allevatori del tutto comprensibile. Tuttavia, c’è un ampio e serio quadro di conoscenze scientifiche, l’unico, conseguito dal Parco del Gargano e dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari in anni di lavoro con esperti locali dotati di conoscenze ultradecennali, con cui affrontare la questione in maniera seria e razionale, evitando deduzioni approssimative e fantasiose, se non in malafede, che si rincorrono sul Lupo.

Dal 2015 il Parco Nazionale del Gargano, di intesa con altri 7 Parchi Nazionali italiani, aderisce al Progetto di Sistema, promosso dal Ministero dell’Ambiente, “Convivere con il lupo: conoscere per preservare”.

Nell’area Parco, alcuni parametri di popolazione, come ad esempio la distribuzione e la dimensione, sono stimati attraverso differenti tecniche standardizzate, condivise e sinergiche. - dichiara Lorenzo Gaudiano, biologo di Foggia, ricercatore presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari - Esse includono il fototrappolaggio, il wolf howling, il monitoraggio genetico non invasivo e l’analisi, su scala spazio-temporale, degli eventi di predazione sui domestici. I dati, aggiornati al 2018, riportati al Ministero e in diversi tavoli tecnici nazionali (tra cui quello relativo all’aggiornamento del Piano Nazionale di Conservazione e Gestione del Lupo, attualmente in Conferenza Stato-Regioni), riportano un trend di lieve crescita e espansione, in linea con l’andamento a livello italiano e europeo. È doveroso precisare che, il numero di nuclei, in una popolazione, non cresce in modo esponenziale. A larga scala, per disponibilità di prede e questioni densità-dipendenti, la dimensione della popolazione, anche per un super predatore come il lupo, è limitata.”

Non ha senso pertanto puntare il dito contro il Parco che, seppur con i necessari progressi di strategia, è sulla strada per affrontare il fenomeno, ma dovrà farlo in sinergia con altre istituzioni preposte, dentro e fuori Parco. A cominciare dalla questione indennizzi/risarcimenti, ma non solo.

 “La sfida sulla quale concentrare gli sforzi – continua Gaudiano - è quella relativa all’attenuazione della conflittualità con la zootecnia. Il sistema unico degli indennizzi non è sufficiente a porre rimedio al danno economico e a quello emotivo. È necessario rafforzare enormemente il sistema della prevenzione, ovvero intervenire prima che gli episodi di predazione avvengano. Ciò significa quanto meno riportare gli attacchi ad un livello fisiologico, sostenibile. L’Italia vanta una tradizione millenaria nella protezione delle greggi con il pastore abruzzese, e, proprio nel pascolo transumante, tipico del nostro territorio, trova la massima espressione.

Le preziose esperienze in altri contesti regionali, che convivono con il lupo da molto più tempo, insegnano che è necessaria l’applicazione di sistemi integrati. Le recinzioni elettrificate e i cani da guardiania sono forme imprescindibili. Il confinamento notturno del gregge in recinti elettrificati garantisce un’ottima difesa dall’aggressione e generalmente è il primo che viene adottato. L’utilizzo dei cani, invece, richiede un impegno serio da parte dell’allevatore per formare cani efficienti e non pericolosi. Come strategia generale, il cane da guardiania deve essere inserito nel gregge a poche settimane di vita, per rimanervi sempre e identificarsi con le pecore. Le tre caratteristiche fondamentali che un buon cane deve avere sono l’attenzione, utile a saldare il legame con il gregge, l’affidabilità, che prevede l’assenza di istinto predatorio e, infine, la protezione, ovvero la capacità di intervenire in situazioni di pericolo. Il numero di cani da utilizzare dipende dal territorio e dal gregge: generalmente è raccomandabile una muta di 4 cani, disetanea e con predilezione di individui di sesso maschile. L’applicazione rigorosa e sinergica di queste misure, come dimostrato in diverse aziende zootecniche, anche del nostro territorio, permette un decremento sostanziale degli attacchi. Una convivenza dunque è possibile: al di la di ogni pregiudizio essa necessita solo di sostegno, applicazione e corretta informazione.

La sensazione è però anche di speculazione su un tema che viene assunto a pretesto da alcune forze politiche che, invece di “costruire”, puntano a demolire invocando perfino una storica ossessione antiparco: la riduzione dell’area protetta! Come se, cosi, questi problemi potessero magicamente scomparire. È invece vero, ad esempio, che proprio la frastagliata perimetrazione del Parco, privo di “aree contigue” preistoricamente invocate dalla LIPU e dove poter applicare un regime gestionale funzionale con l’area protetta, non aiuta nell’affrontare fenomeni in maniera omogenea sull’intero promontorio.

“E’ quindi un grave errore sparare sulla croce rossa – conclude Cripezzi -. Come abbiamo sempre sostenuto dalla sua istituzione, il Parco è il cardine su cui incentrare la pianificazione di politiche di sviluppo razionale e uso sostenibile delle risorse e, per ovvia vocazione istituzionale, è dalla parte della pastorizia e dell’agricoltura”.

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