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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

No, Foggia non è solo questo (ma è anche e soprattutto il giorno dopo il sabato)

Il comitato dei genitori "riprende" un servizio televisivo "incompleto" che "rischia di innescare un dibattito pubblico in qualche modo simile a quello che toccò a Saviano e al suo libro Gomorra"

Lettera aperta del Comitato genitori per Foggia: ecco il giorno dopo il sabato qual è l'idea della nostra città

"Il resoconto televisivo riguardo la difficile situazione delle nostre strade, infestate dalla violenza giovanile soprattutto durante il fine settimana, oltre alla gratitudine per l’attenzione ricevuta dalle emittenti nazionali e oltre alla soddisfazione per il lavoro svolto, ci ha lasciato un po’ di amaro in bocca, insinuando un sottile dubbio (presto svanito) riguardo la natura del nostro operare.

È solo questo la nostra città? Un luogo pericoloso in cui si fa meglio a restare a casa il sabato sera, rinunciando al dono di un clima meraviglioso e ad una vita di relazione che non abbiamo timore a definire solida ed esemplare (nonostante il sottobosco di aggressioni che quasi tutti fanno fatica a denunciare)?

No. Foggia non è solo questo.

È vero, siamo spaventati. Ed è vero che nessun adulto interviene a sedare le aggressioni o ad inseguire gli assalitori. Così come è vero che se ogni persona per bene della città (e del mondo) si facesse essa stessa presidio vivente per una violenza che resta (e lo ribadiamo) della minoranza, le aggressioni su cui oggi i riflettori nazionali hanno puntato la luce cesserebbero in un solo istante.

Nel servizio televisivo che mostra forze dell’ordine in azione, forze che abbiamo chiesto a gran voce con 2000 firme e che non smettiamo mai di benedire, la fotografia del nostro territorio è incompleta e il nostro impegno, invece di fare del bene, rischia di innescare un dibattito pubblico in qualche modo simile a quello che toccò a Saviano e al suo libro Gomorra. Un dibattito che trovava discordi (oltre ai collusi) quei napoletani che non si riconoscevano in una narrazione del territorio che illuminava solo il male, e discutevano di danni di immagine per sé stessi e per alcuni settori della loro economia. 

L’identità comune partenopea, insomma, non ci stava a sentirsi rappresentata così come facevano i canali mainstream, che avevano preso a prestito le pennellate fosche di Saviano, tanto da accanirsi contro lo scrittore e il suo testo colpevole di buttare fango su un’intera popolazione. 

Come a ribadire che non si può gettare via il bambino con l’acqua sporca del suo bagno. 

C’era dunque una Napoli che si salvava e che non si sentiva rappresentata. Una Napoli che probabilmente avrebbe desiderato (e meritato) un interprete della propria condizione della stessa statura e popolarità di Saviano, con testi che raccontassero di loro e della loro scelta quotidiana in direzione del bene.

Certo. Il nostro lavoro di denuncia e (soprattutto) la nostra richiesta di aiuto alle istituzioni, è lontana anni luce dalle approfondite analisi di natura giudiziaria condotte da Saviano. Ma ugualmente corre il rischio di farsi promotore di una narrazione sociale che pone l’accento sugli aspetti peggiori della comunità. Del resto sono molti i rischi del nostro impegno, ma nel parleremo in un’altra occasione…

È dunque per rimettere in equilibrio la fotografia andata in onda sui canali televisivi, che ci sentiamo in dovere di ricordare l’esistenza di luoghi meravigliosi che fanno da argine alla violenza. Baristi che soccorrono e ospitano gli aggrediti in attesa che arrivino i genitori, e che prima di vendere alcolici chiedono i documenti per accertarsi della maggiore età del ragazzo che hanno di fronte. E che fanno questo ogni sabato sera, da anni. Chiese popolate da uomini (ma soprattutto donne) che donano il loro tempo per tenere in piedi classi meno abbienti, offrendo luoghi di svago, doposcuola e pasti caldi. Associazioni che al loro interno fanno cultura e creano ponti di dialogo e di ascolto che talvolta diventano una preziosa occasione per ricominciare, partendo da qualcosa di diverso, seppure piccolissimo.

Foggia ospita presidi spontanei formati dalla gente che non vuole essere notizia e che ha il solo difetto di tenere chiuse le porte della comunicazione riguardo il proprio operato. Luoghi che, al contrario, andrebbero illuminati, perché è questa una delle cose che maggiormente ci manca: la costruzione di modelli alternativi che si fanno popolari, esemplari e condivisi, così che le individuali e numerose forze in azione diventino una.

La Foggia del sabato sera è stracolma di gente che passeggia prima e dopo cena, che beve un bicchiere all’aperto, che siede sulle panchine o sui muretti per godere del passeggio. Famiglie con bambini, vecchi e nuovi amici, e soprattutto un gigantesco fiume di minorenni che, a guardarli, fa sembrare lontano anni luce il problema della denatalità. Minorenni che escono un solo giorno a settimana: quello. E che per il resto sono impegnati con compiti e attività sportive. 

Ed è quello, il sabato, il giorno in cui le differenze educative e le povertà o le ricchezze di mezzi (che non sempre hanno a che fare con le classi sociali) si incontrano, spesso scontrandosi. La violenza è casuale e immotivata, oppure frutto di una discordia precedente. Noi non ancora disponiamo dei mezzi di indagine necessari.

Vogliamo solo dire che accanto alle aggressioni e alla paura, c’è l’allegria, il piacere di stare insieme e la spensieratezza. Ambiti che vorremmo salvaguardare con lo stesso spirito con cui si preserva qualcosa di prezioso ed importante, e che mai verranno meno perché appartengono alla modalità mediterranea di vivere insieme. Una modalità che crea spontaneamente reti che, da amicali e familiari, non sanno però tradursi in modelli sociali.

Il dibattito pubblico che si occupa di noi, dunque, vorremmo si tenesse in equilibrio su questo. Sul male e sul bene che ci appartengono e ci riguardano, in nome di una comunità che chiede una bonifica per continuare ad essere sé stessa, senza vedersi investita di negatività nel suo complesso.

Chiudiamo mentre in testa ci ronzano le parole di Elisabetta Ambrosi, pubblicate oggi sul Fatto, quando, a proposito delle stragi del sabato sera, chiede di chi sia la colpa dell’allucinante inconsapevolezza in cui sono immersi i nostri ragazzi, che hanno un’alienazione in più rispetto alle generazioni precedenti. Ragazzi rincitrulliti da un sistema che ci obbliga a spostare la colpa dalle famiglie alla società. Giovani vittime di una educazione parallela a cui si è aggiunto un consumismo senza freni, dato pure da messaggi di vip della moda e dello spettacolo, che cambiano macchine per ogni scatto, alla faccia dei ragazzi che con un clik si sentono protagonisti e che invece sono soltanto dei prodotti.

Prodotti che, in un meridione infiltrato dal malaffare e povero di prospettive, soffrono più di altri. E che per questo meritano di essere sostenuti oltre che criminalizzati.

Noi da genitori, ambiziosamente e forse utopisticamente, vorremmo proprio questo"

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