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Cronaca Cerignola

Gli affari dei cerignolani con il ‘re del vino’: sette arresti e un maxi sequestro da 20 milioni di euro

Con l’imprenditore faentino Vincenzo Secondo Melandri, sono stati arrestati Gerardo Terlizzi, Pietro e Giuseppe Errico e i prestanome Rosa D’Apolito, Roberta Bassi e Ruggero Dipalo nell’ambito dell’operazione ‘Malavigna’

Sette persone arrestate e un maxi sequestro da 20 milioni di euro: questi i numeri dell’operazione ‘Malavigna’ della Direzione Investigativa Antimafia di Bologna, coordinata dal Procuratore della Repubblica di Ravenna Alessandro Mancini e dal sostituto Lucrezia Ciriello, con la quale è stato individuato e disarticolato un gruppo criminale ritenuto specializzato nel riciclaggio di ingenti capitali di provenienza illecita e nelle frodi fiscali perpetrate mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

L’attività ha portato all’arresto in carcere del noto imprenditore vitivinicolo faentino Vincenzo Secondo Melandri, risultato per le accuse a capo del sodalizio e catturato a Manduria nel Tarantino, nonché dei cerignolani Gerardo Terlizzi di 56 anni, fratello del più noto Giuseppe, reggente dell’ex-clan Piarrulli-Ferraro, e dei fratelli Pietro e Giuseppe Errico di 55 e 66 anni, anch’essi già noti alle forze dell'ordine e ritenuti vicini al clan operante nella provincia di Foggia. Agli arresti domiciliari anche Roberta Bassi, 53enne compagna e socia in affari dell'imprenditore faentino, Rosa D'Apolito, 56enne di Monte Sant’Angelo e Ruggiero Dipalo, 50enne di Cerignola, considerati stabilmente al servizio dell’associazione e delle sue esigenze operative, col ruolo del cosiddetto "testa di legno", ovvero una sorta di prestanome.

Il 48enne “re del vino” era già stato tratto in arresto nel giugno del 2012 insieme ad alcuni soggetti legati alla criminalità organizzata foggiana e, nel 2016, condannato dalla Corte d'Appello di Bari a quattro anni di reclusione per reati finalizzati alla truffa aggravata e ai reati fiscali, nell’ambito dell’operazione denominata ‘Baccus’ (coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia del Capoluogo pugliese. In tale contesto, era stato accertato dagli inquirenti che Melandri aveva accumulato e depositato in istituti bancari della Repubblica di San Marino oltre 23 milioni di euro di illeciti guadagni, di cui nove ancora sottoposti a sequestro per il reato di riciclaggio da parte dell’Autorità Giudiziaria del Titano, mentre i restanti 14 rimpatriati in Italia sfruttando le possibilità offerte dal cosiddetto "scudo fiscale ter". Proprio seguendo le tracce di questo ingente capitale rimpatriato, la Direzione Investigativa Antimafia ha ipotizzato come l'imprenditore faentino, nel 2014, non appena terminata la custodia cautelare, avesse iniziato a finanziare con parte di tali proventi la ‘Melandri Trading srl’ al fine di riprendere i traffici illeciti.

Il ruolo dei soggetti cerignolani consisteva invece nell’emettere, attraverso finte società vitivinicole facenti capo a dei “prestanome”, fatture per la vendita di prodotti alla società Melandri Trading srl, a fronte di merci mai corrisposte: attività, questa, secondo le accuse, funzionale a ripulire il denaro sporco proveniente da usura, esercizio abusivo di attività finanziarie e frodi fiscali. In realtà, alla società di Melandri arrivava solo ed esclusivamente denaro contante (corrispondente all’importo delle fatture senza Iva) con corrieri che partivano da Cerignola in auto. Successivamente, l’imprenditore romagnolo procedeva a pagare con bonifico le fatture maggiorate dell’Iva. Quindi, il sistema posto in essere consentiva al gruppo dei foggiani di riciclare il denaro sporco e di incassare gli importi corrispondenti all’Iva (mai versata nelle casse erariali), e a Melandri di riciclare, a sua volta, le ingenti disponibilità finanziarie rimpatriate da San Marino e di abbattere i ricavi della sua azienda grazie alla registrazione in contabilità di costi inesistenti.

Non solo: sulle citate operazioni commerciali fittizie, fatturate per oltre cinque milioni di euro, l’azienda ravennate avrebbe beneficiato anche di indebite detrazioni di imposta per circa due milioni di euro. All'imprenditore, inoltre, è stato contestato anche il reato di usura, avendo prestato denaro a tassi non legali a un imprenditore ravennate in difficoltà.

Con l'ordinanza di venerdì, emessa dal Gip presso il Tribunale di Ravenna Rossella Materia, è stato disposto, oltre che alle misure cautelari, anche il sequestro di un ingente patrimonio, stimato in oltre 20 milioni di euro, tra cui figurano tre società, investimenti finanziari e immobili siti nelle province di Ravenna e Foggia. Contestualmente, con l’ausilio dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Ravenna e Foggia, sono state eseguite numerose perquisizioni personali e locali: nella casa ravennate di Melandri sono stati trovati fondi per 100mila euro e una macchinetta conta-soldi con cui, secondo gli investigatori, avrebbe contato i soldi che gli portavano i cerignolani

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