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Processione del Corpus Domini, mons. Pelvi scuote le coscienze: "Siamo liberi o siamo schiavi?"

L'arcivescovo: "Siamo contagiati dal virus dell’individualismo, che vuole assolutizzare le nostre opinioni, rifiutando di camminare insieme agli altri. Cresce, così, il nostro egoismo, che è chiusura, disconoscimento dell’altro" 

"Siamo liberi o siamo schiavi?". E' l'interrogativo posto dall'arcivescovo della diocesi Foggia - Bovino, mons. Vincenzo Pelvi, durante la partecipata processione del Corpus Domini, seguita anche quest'anno da tanti foggiani che hanno voluto celebrare il mistero dell'Eucarestia. 

"Un saggio disse che il peccato è tutto ciò che non è necessario. Se questo fosse vero, allora la nostra civiltà sarebbe fondata sul peccato, sul non necessario, dall’inizio alla fine", ha puntualizzato mons. Pelvi. "A nessuno sfugge che mentre alcuni sperperano, senza coscienza sociale, altri vivono il supplizio delle ristrettezze. L’Eucaristia è la sfida lanciata stasera a chi preferisce la sovrabbondanza all’essenziale; il potere alla vulnerabilità; lo sperpero alla sobrietà".

"Domandiamoci: in questa città, nella nostra comunità ecclesiale, siamo liberi o siamo schiavi? Siamo spenti, ostili, sfiduciati, stanchi? Desideriamo costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri e i deboli, gli emarginati siano al centro del nostro agire quotidiano. Quando una città scarta i bisognosi, perde la libertà e non può dirsi più cristiana. L’Eucaristia che abbiamo celebrato e adorato ci spinge a realizzare la logica del “noi”, per cui un bene ha valore più grande degli interessi privati. Quando prevale il peso dell’io si distruggono le relazioni di fiducia, quell’amicizia civile che dovrebbe illuminare i legami e sviluppare una serena convivenza".

"Purtroppo - continua Pelvi - siamo ancora contagiati dal virus dell’individualismo, che vuole assolutizzare le nostre opinioni, rifiutando di camminare insieme agli altri. Cresce, così, il nostro egoismo, che è chiusura, disconoscimento dell’altro, pretesa di piegare tutti ai nostri capricci. Questo non è più il tempo per distrarci, ma per offrire più fortemente i segni della presenza e della vicinanza di Gesù, che si fa carne anche nel corpo ferito di tante donne e uomini della nostra città. L’Eucaristia, in realtà, esige di tenere sempre lo sguardo fisso all’uomo concreto, amato da Dio, fatto di carne e ossa, storia, speranza, sentimenti, delusione e quotidianamente ci interroga. Gesù si presenta, infatti, nascosto nel segno del pane spezzato e del vino versato, come si nasconde in un assetato, un forestiero, un ignudo, un ammalato, un carcerato. Egli non annuncia l’amore come una idea astratta, il suo è un amore incarnato e credibile, che ha il nostro volto, la nostra storia, i nostri nomi".

Continua quindi l'arcivescovo di Foggia - Bovino: "Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni evangeliche per la verità e la giustizia di un territorio sempre più segnato da solitudine, disuguaglianza e risentimenti, ma ancora capace di cristiana e civile solidarietà? L’umanità ha bisogno di essere abbracciata, e molto di più quando è ferita, sminuita, soffocata dall’esclusione, fatta a pezzi e senza sapere come ricostruirsi. In questa situazione, donne e uomini eucaristici con una piccola parola detta bene, con un sorriso gentile e luminoso, possono versare sulle ferite sanguinanti consolazione e speranza. Quante volte non riusciamo ad impedire le lacrime sul volto dell’altro, ma possiamo accarezzarlo, porgendo semplicemente un fazzoletto. L’Eucaristia ricorda che Gesù è qui, in noi e con noi e non dobbiamo temere. Con la nostra presenza semplice e fraterna, diciamo a chi è inquieto e confuso e balbetta la propria vergogna: sono qui, non sei solo. Impariamo a condividere la vita, la quotidianità, i percorsi importanti, a dire quello che più ci pesa o quello che più ci fa gioire. Gli altri non sono i nostri vicini, ma fratelli da ascoltare e di cui prendere a cuore la vita, sentendoli parte di noi stessi. Si diventa esperti di accoglienza solo se la si pratica, solo se si è capaci di fare posto a chi di nuovo arriva, facendolo sentire importante". 

"Desideriamo con tutto il cuore contribuire alla rinascita della nostra città, per un motivo semplice: la città è la nostra casa comune. È in questo spazio che noi sviluppiamo e condividiamo la nostra umanità e fraternità. Lo facciamo con entusiasmo, fiduciosi nel cambiamento che parte dal cuore e si impegna a praticare le opere di misericordia. Perché la misericordia è la perfezione della giustizia in un mondo fragile e imperfetto. L’uomo vede solo le apparenze, ma Dio legge nel cuore. Ora, è il cuore il centro della persona e della sua vita, il luogo nel quale nascono e crescono i nostri sentimenti buoni e cattivi. Da questo cuore derivano le decisioni, le scelte, le azioni, i comportamenti concreti della persona, con tutto il loro influsso, positivo o negativo, sulla vita sociale e quindi sullo sviluppo della città. Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode". conclude. 

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