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"Ora vorremmo stare a Foggia". Cartoline da New York, Nicosia e Lisbona in tempo di Pandemia. "Il cuore è rimasto lì"

Cronache foggiane dell'a-normalità, dal lockdown a shelter-in-place. In Colorado l'hashtag adottato è #DoingMyPart, fare la mia parte. E loro hanno scelto, responsabilmente, di non tornare a casa. Ma il cuore è rimasto in Puglia

Carmen dalla Grande Mela manda un abbraccio virtuale a tutta la sua bellissima Foggia. In Portogallo proprio oggi è scattato lo Stato di Emergenza Nazionale e Valentina è a casa da martedì con il pc recuperato al volo in ufficio per continuare a lavorare. Christian a Nicosia si dedica al suo grande amore: la cucina. Cartoline dal lockdown. Sono i foggiani che non hanno preso un volo per scappare vedendo la mala parata, e sono lontani dagli affetti che a casa hanno il batticuore. Come in esilio, tra quattro mura che non sono quelle dove risiede il cuore.

NYC SHELTER IN PLACE - Carmen Petruzzi research intern in un'azienda che si occupa di turismo e sviluppo economico a Manhattan, stagista di 32 anni, ogni giorno scrive un post per tranquillizzare amici e parenti in Italia che in tv vedono solo la spasmodica corsa alle armi Oltreoceano. A FoggiaToday racconta questi giorni dall'altra parte del Mondo, a oltre 4.400 miglia da qui. "Quando partii lo scorso luglio, non avrei mai immaginato che New York oltre ad accogliermi, stupirmi e regalarmi alcune fra le più belle esperienze della mia vita, sarebbe diventata anche la città dove avrei vissuto la mia quarantena mentre guardavo Cuomo e de Blasio battibeccare per shelter-in-place sì o no. Intanto sono giorni che per smaltire la marea umana delle metro, è stato chiesto agli impiegati di restare a casa e io vivo chiusa nella mia stanza di Hart Street a Brooklyn in modalità wfh (working from home). Sono uscita solo un paio di volte per andare a fare la spesa la scorsa settimana e il primo segnale che sarebbe stata un’impresa l’ho avuto quando non ho trovato neanche un carrello all’ingresso. A Foggia avete ripulito gli scaffali di lievito e farina, a New York si comprano 5 o 6 confezioni da diciotto di uova e qualunque tipo di sugo e surgelati, la soda e le bevande zuccherate in bottiglie da tre litri e centinaia di rotoli di carta igienica. L’ossessione degli americani per l’hand sanitizer (disinfettante per le mani) lo ha reso da oggetto di pochi centesimi a bene di lusso introvabile. Nonostante la corsa alle scorte, la maggior parte degli americani non comprende ancora la pericolosità del virus così la social distancing viene interpretata come la cena in casa con amici. Soltanto l’altro ieri sera ho ricevuto un paio di inviti ad uscire su Bumble (un’app per appuntamenti che fa concorrenza a Tinder). Ma dico io, in pieno stato di pandemia, il tuo pensiero è uscire? Per andare dove se i musei, i bar, i ristoranti e i fast food sono chiusi? Ci aspettano giorni molto difficili anche qui e ne siamo consapevoli, gli amici italiani ed io passiamo le giornate come voi, in autoisolamento o limitando al massimo le uscite e cerchiamo di ricostruire una normalità nell’anormalità di questa situazione. Avrei potuto raggiungere le mie zie che vivono in altri Stati, per vivere insieme le prossime settimane, il senso di responsabilità mi impedisce anche solo di muovermi dalla stanza. Sarei potuta tornare a Foggia ma anche questa è una scelta che rifiuto, ognuno deve restare dove si trova. Io, voi, tutti. C’è un hashtag che mi piace molto ed è stato adottato dallo stato del Colorado #DoingMyPart, fare la mia parte e mi piace credere che ciascuno di noi, nelle scelte che fa e negli sforzi mentali e fisici che deve sopportare, sia responsabile della salute e della vita dell’altro. Perciò io continuo a fare la mia parte lavorando, mangiando, ascoltando musica, telefonando dalla mia stanza e videochiamando la mia famiglia e gli amici che ancora confondono il giorno con notte, i fusi orari e mi chiamano sempre quando lavoro. Sono fiduciosa che la città di New York e tutti noi reggeremo bene la botta, certo è che se de Blasio avesse lo stesso imprinting comunicativo del sindaco di Lucera Antonio Tutolo, una star oltreoceano, secondo me il messaggio ai newyorchesi arriverebbe più veloce e diretto. A proposito, concedetemelo: mamma stai serena e non ti preoccupare, papà tanti auguri per oggi!".

CHECKPOINT TRANSENNATI A CIPRO - Christian D'Andrea, 33 anni, Caseworke, funzionario europeo, si diletta con le sue ricette per la quarantena nell'isola di Cipro. "A fine febbraio, quando iniziavo a vedere i primi casi di Coronavirus in Italia pensavo 'Chissà quando potrò ritornare'. Mi sono trasferito a Nicosia, capitale della Repubblica di Cipro, da novembre. Cipro, uno stato grande come l’Abruzzo incastrato tra Siria, Turchia e Egitto, ma pur sempre Europa. Cipro, una Repubblica con un muro che separa la Repubblica di Cipro dalla Repubblica di Cipro del nord, territorio occupato dalla Turchia nel 1974, ma nel quale è possibile entrare attraversando agevolmente uno dei checkpoint. Ogni giorno, la prima cosa da fare era controllare sui social e sui giornali online quanto si espandeva il virus in Italia, sperando che non arrivasse a Foggia, lì dove ho la mia famiglia. 'Qui non arriverà mai', era questo che dicevo con i colleghi. Fino al 9 marzo. 'Primi due casi di Coronavirus a Cipro', i giornali locali avevano tutti lo stesso titolo. Ma a questo non davo molto peso. In fondo sono solo due casi e sono stati identificati. Da lì in poi è stata un'escalation. I primi a chiudere sono stati i checkpoint tra le due Repubbliche, prima per italiani, cinesi e iraniani. Le poste hanno smesso di spedire e ricevere pacchi provenienti dall’Italia. Nel frattempo il virus si espandeva in Europa e in tutto il resto di Italia, con le carovane di studenti che partivano con i treni notturni per sfuggire all’isolamento. Per me, italiano, appariva quasi assurdo che, sebbene checkpoint, poste e aeroporti cominciassero a sospendere i servizi, la vita a Nicosia procedeva come se nulla fosse, al massimo poteva succedere che i tassisti ti prendessero in giro dicendo 'Italiano? Ah, Coronavirus'. E tu avevi il sangue che ti ribolliva ma facevi buon viso a cattivo gioco. Fino a dieci giorni fa. Il governo si sveglia e, rendendosi conto che i casi aumentavano costantemente, impone la chiusura di scuole e palestre; i bar e i locali non possono accogliere più di 75 persone. Si inizia a percepire che le cose non stiano andando per il verso giusto anche qui. Venerdì 13 si impone il ban in ingresso nella Repubblica per tutti, ad eccezione dei ciprioti e dei lavoratori esteri. L'indomani, il presidente della Repubblica decide di chiudere le frontiere a tutti, Ciprioti e non, promettendo un contributo di 700 Euro per gli studenti che decideranno di non fare rientro per le festività pasquali; come se non bastasse, tutti gli esercizi vengono chiusi, ad eccezione di farmacie, supermercati, Kiosk (che sono un misto tra un minimarket e un tabacchino) e cliniche private. Inutile dire che tutto viene preso d’assalto, nonostante le rassicurazioni del governo che dice che ci sono scorte a sufficienza. Si impone agli hotel di chiudere da martedì. Tutti i lavoratori devono lavorare da casa a partire da martedì. Seppur non viene detto esplicitamente, si tratta di Lockdown. A casa ci attrezziamo, facciamo spese essenziali a turni alterni onde evitare di uscire il più possibile inutilmente. La sveglia adesso suona alla 8.30 e non più alle 5.40 dato che non ho l'obbligo di presentami sul posto di lavoro alle 7, ma inizio alle 9 lavorando dal Pc messo in soggiorno. Le videochiamate e gli aperitivi online con gli amici e la famiglia in Italia sono all’ordine del giorno. Qui si esce, si può ancora fare. Si può andare a casa di amici senza avere in tasca un’autocertificazione. E probabilmente mi sento più fortunato di chi è in Italia, seppur i casi continuano ad aumentare anche qui. L'esperienza in Italia ha fatto giocare d'anticipo Cipro. Fa strano vedere tutte le saracinesche abbassate, non sentire più l’odore di carne alla brace per le vie della città. Non sentire più così spesso un cipriota parlare, o meglio urlare, in greco solo per salutarti e chiederti come stai. Camminare e non sentire il rumore delle auto, non vedere le luci accese, l’odore di tabacco e mela che esce dai narghilè nei dehor dei bar. Guardare i checkpoint transennati e spenti. Le uniche persone che incontri hanno la mascherina, così come i tassisti e gli autisti. Siamo in otto Italiani qui, tutti arrivati a novembre per lavoro, e ci siamo stretti come in un'unica famiglia. 'Oh, Chri. Se entriamo in quarantena io vengo a stare a casa tua, tanto c’hai una stanza libera e io non ho voglia di rimanere da solo a tempo indeterminato', questo è quello che mi sento dire dai miei amici qui. Oggi ho letto questa frase alla fine di una mail di lavoro, mandata da una persona che è molto poco italiana nei modi di fare e approcciare la gente. Fredda. 'Ognuno di noi vive questa situazione in modo diverso e le circostanze personali di alcuni di noi sono più difficili di quelle di altri. Nessuno dovrebbe essere lasciato solo e l'isolamento deve essere solo fisico. Da parte mia, lascio la 'porta aperta' a chiunque voglia parlare di cose irrilevanti per il lavoro'. Sono parole non di circostanza, non in questo momento. E queste scaldano il cuore e ti danno la carica per andare avanti. So di essere lontano. In questo momento è Foggia il posto in cui vorrei stare. Essere vicino alla mia famiglia, a coloro a cui voglio bene. Ma non è la situazione più opportuna. Avremo modo per ritornare ad abbracciarci e stare insieme".

TEMPI DURI PER UOMINI E PIANTINE A LISBONA - La nostalgia canaglia attanaglia Valentina Fiscarelli, 32 anni, operatrice di call center. "Lisbona, Portogallo, qui stato d'emergenza nazionale. È da poche ore che il Capo di Stato ha parlato pubblicamente alla nazione: 'Non si tratta di un'interruzione della democrazia', ha ripetuto più volte. Il concetto é rimasto impresso a tutti. Un anno e pochi mesi si raggrumano in questo terzo giorno di reclusione: mi manca casa, mi manca Foggia, mi mancano i miei nipoti, la famiglia, gli amici di sempre. Mi manca la mozzarella. Quella buona. Sarei dovuta scendere a Pasqua, hanno cancellato i voli. Il solito culo. Qui, un po' tutti, non sanno come reagire: i più spaventati fanno finta di niente, continuano con la stessa vita di prima. Escono, stanno in gruppo, ogni mondo é paese. Capisco che è la paura, non può essere altro. Sono preoccupata, lo ammetto. E incazzata, tantissimo. Ma cerco di mantenere una razionalità per tutto. E scorte di pasta che manco in Italia averi mangiato. Nel frattempo fuori c'é un bel sole, il solito silenzio e sul balcone le mie piantine vengono appestate dai moscerini. Sono tempi duri per tutti. Uomini e piantine sul balcone. Anche qui si applaude alle 22 per tutti gli operatori sanitari che si fanno il culo. Aerei non ne partono più. Cerco di pensare a quando questa situazione sarà finita. Quando finalmente potrò tornare a Foggia. Un abbraccio a tutti, wagliù".

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