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Il duro post-Covid di Foggia. Il prof. Bellomo: “Ansia e disturbi da stress si leggono sulla faccia di tante persone"

L’isolamento forzato, la paura del contagio e l’incertezza del domani hanno causato una impennata delle manifestazioni collegate ad ansia e fobie, producendo ulteriore angoscia e disperazione. Il punto nella provincia di Foggia

La sensazione è che, dal punto di vista della morbilità psicologica e psichiatrica, la cosiddetta ‘Fase 2’ sia stata più dura della ‘Fase 1’. E il peggio non sembra essere (ancora) alle spalle.

L’isolamento forzato, la paura del contagio e l’incertezza del domani, infatti, hanno causato una impennata delle manifestazioni collegate ad ansia e fobia, producendo ulteriore angoscia e disperazione per quanti combattevano già disturbi di natura psichica. Insomma, come soffiare sulla brace.

Antonello Bellomo-2Anche in epoca Covid, esattamente come per tutte le altre grandi pandemie della storia, gli schemi proposti e prodotti dalle società sono sempre gli stessi. E poco o nulla possono i progressi scientifici, la tecnologia e le conquiste del terzo millennio dinanzi ai comportamenti di massa. E’ quanto evidenzia Antonello Bellomo (in foto), professore ordinario di Psichiatria e direttore del reparto Spdc - Servizio psichiatrico diagnosi e cura del Policlinico Riuniti di Foggia, autore di un libro sul tema che verrà presto pubblicato per una casa editrice indipendente pugliese. Una ricerca storica ma con impostazione scientifica, volta a verificare i comportamenti reiterati delle popolazioni durante le pandemie - dalla grande epidemia narrata nel Libro di Samuele al Covid-19 - al fine di evidenziarne i marker comuni. “Paura, ansia, disturbi post traumatici da stress si leggono sulla faccia di tante persone, sono diventati quasi un fenomeno di massa”, spiega. Il punto del difficile post lockdown della provincia di Foggia.

Professor Bellomo,

con il lockdown, la comunità scientifica aveva lanciato un allarme in merito al possibile aumento delle malattie mentali. Qual è la percezione al riguardo? L’allarme è rientrato?

L’allarme c’è stato, c’è ed è reale. In seguito all’isolamento, infatti, si è verificato un aumento della morbilità psicologica e psichiatrica, soprattutto in concomitanza con la Fase 2. Con il lockdown è aumentato il disagio sociale, l’intero sistema è stato seriamente compromesso, producendo ulteriore disperazione che ha solo peggiorato lo stato di cose per quanti avevano già problemi di natura psichica. Ma non solo. Tanto disagio non si sarebbe visto senza l'isolamento.

In che senso? Può farci un esempio concreto?

E’ aumentato il disagio psichico, diventato vero e proprio disturbo psichiatrico. Mi riferisco, ad esempio, delle depressioni reattive di quanti, perdendo il lavoro o ritrovandosi di punto in bianco nella precarietà (in un contesto sociale già di per sé fragile) sono precipitati nell’angoscia, andando incontro, appunto, ad un disturbo psichico.

L’Italia intera si è scoperta disorientata e fragile. Ha avuto modo di confrontarsi con i colleghi di altre regioni? Con quali esiti?

Essendo consigliere della Società italiana di Psichiatria ho potuto confrontarmi quasi giornalmente con colleghi di altre sedi, anche quelle più disastrate e maggiormente segnate dal Covid19. Durante la fase di chiusura, in generale, non si è rilevata l’urgenza psichiatrica (quella che, per intenderci, raggiunge il ricovero); quella è aumentata subito dopo la riapertura. Ad aumentare però non sono stati solo i casi di urgenza, ma anche l’attività quotidiana, giornaliera, di tutti i colleghi. Una situazione che sta esplodendo dappertutto.

Ora siamo in Fase 3. Qual è la situazione?

La casistica ufficiale è ancora in elaborazione. Ma la mia sensazione è che si ha ancora tanta paura. La frenesia per le riaperture legate alle spiagge e ai luoghi del turismo, poi, non fa altro che aumentare, in alcuni casi, l’angoscia di una possibile nuova ondata del virus.

Qual è l’aspetto dell’isolamento (sociale, affettivo, lavorativo) che fa più paura?

L’isolamento ha causato il blocco di tutte le attività, lo stop di tutte le consuetudini. I mezzi informatici hanno tamponato le criticità ma da soli non sono bastati: da una parte, infatti, si è assistito all’aumento spropositato del disagio psichico; dall’altro alla crescente sospettosità nei confronti dell’altro (perché potenziale fonte/veicolo di contagio), un atteggiamento che genera segregazione, se non vero e proprio stigma, pregiudizio, nei confronti degli altri.

Ci sono delle categorie lavorative più esposte al rischio?

Indubbiamente gli operatori sanitari: sono stati e sono esposti ad un livello di stress post-traumatico maggiore, specialmente quelli che lavorano in trincea (118, pronto soccorso, reparti Covid), con turni massacranti ed esposizione continua al rischio. Poi tutti quegli operatori che si sono visti da un giorno all’altro chiudere tutto, spesso senza speranza di recupero.

Non parliamo in questi casi di rischio burn-out.

No, affatto. Qui parliamo a tutti gli effetti di evento traumatico.

Come intervenire, qual è il percorso?

Dipende dall’entità del fenomeno. Generalmente l’approccio misto (intervento farmacologico + psicoterapeutico) risulta più efficace.

Nell'sos lanciato dalla comunità scientifica veniva menzionato anche il possibile aumento del rischio suicidario.

E’ un rischio che segue l’andamento epidemiologico di tutte le malattie mentali: come sono aumentate queste ultime è aumentato anche il rischio di idee di morte. 

E’ possibile prevenire questo tipo di esito?

Ci sono degli indicatori importanti che possono aiutare a prevenire, ma è veramente difficile. Ritengo che, in questa fase delicata, ci siano dei marker specifici che debbano essere presi in considerazione e maggiormente monitorati: la presenza di una familiarità per malattia psichiatrica o suicidio, un elevato tasso di impulsività e, aggiungerei, anche alcuni dati di contesto sociale (la perdita improvvisa del lavoro, l’incapacità di provvedere per sé stessi e per la propria famiglia).

Fondamentale è la fase dell’accettazione del disturbo, lo scoglio più importante da superare.

Se un evento traumatico determina un grosso carico di paura in genere si chiede aiuto. E’ raro che la persona che viene esposta ad un trauma così importante non chieda aiuto o non esibisca spie evidenti del disagio. Ovviamente ci sono anche delle eccezioni.

Quindi il malessere ‘sommerso’ dovrebbe essere minimo.

Se parliamo di malattie o disagio psichico legato al Covid è difficile non rendersene conto, quindi il sommerso resta una minima parte. Ma se ci riferiamo al totale di tutti i disagi presenti, allora il sommerso è enorme.

L’aggiornamento H24 e la condivisione totalizzante dell’emergenza sanitaria ha fatto, in certo senso, da detonatore per ansie e paure oppure ha calmierato le angosce?

La teoria dei complotti e la diffusione di fake news, come diremmo oggi, sono tratti presenti nelle pandemie di tutte le epoche. E' quello che ho potuto riscontrare nel mio lavoro di ricerca. Per questo, dovremmo imparare dal passato per evitare di ripetere gli stessi errori. Sul piano psicopatologico, invece, dovremmo fare attenzione a non farci vincere dagli aspetti più deteriori dell’isolamento, che sono la sospettosità, la segregazione e il pregiudizio: possono diventare un'arma a doppio taglio.

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